“Non chiamatela sanatoria” è un po’ il motto di questi ultimi giorni dalle parti della maggioranza in riferimento a quella che, secondo il governo, sarebbe più opportuno identificare come “semplice” regolarizzazione provvisoria di una categoria di migranti irregolari.
Nei fatti però, si tratta di una sanatoria a tutti gli effetti. E questa impressione è stata confermata anche dal decreto attuativo pubblicato in gazzetta nella giornata di venerdì. Prima il via libera all’ottenimento di un soggiorno regolare, soltanto dopo spazio ai controlli: è questo il criterio della norma oramai esecutiva e che da lunedì permetterà per l’appunto la sanificazione della posizione di migliaia di irregolari.
Potrebbero essere circa 220.000, secondo la stima del governo, le persone che potrebbero usufruire della norma voluta soprattutto da Italia Viva e dal ministro, espressione del partito di Renzi, Teresa Bellanova. Una battaglia politica che i renziani per l’appunto si sono intestati a muso duro, andando addirittura anche a minacciare dimissioni o crisi di governo in caso di mancato adempimento delle richieste.
Nello specifico, i datori di lavoro oppure direttamente i lavoratori interessati potranno chiedere la regolarizzazione della posizione lavorativa. Come detto in precedenza, questa procedura scatterà a partire dal prossimo lunedì e fino al 15 luglio. Al datore di lavoro l’operazione potrebbe costare fino a 500 Euro, mentre se tutto dovesse essere svolto direttamente dal lavoratore allora al massimo il versamento da fare arriverebbe a 160 Euro.
Per questo la convinzione più comune, come ha sottolineato Alessandro Ventura, ricercatore della Fondazione nazionale dei commercialisti ed intervistato da Giorgia Piacione su LaVerità, è che comunque la maggior parte delle domande verranno presentate direttamente dai lavoratori interessati. Una volta effettuata la domanda, si otterrà automaticamente il permesso di soggiorno per almeno sei mesi. Dunque, si avrà il titolo di rimanere in Italia e di girare liberamente anche all’interno del territorio dell’Ue.
In poche parole, pur non avendo requisiti o titoli, con la domanda di regolarizzazione della posizione lavorativa presentata dal datore o dal lavoratore si potrà soggiornare ed avere i requisiti per rimanere per sei mesi all’interno della zona comunitaria. Ecco perché quella del governo assomiglia molto da vicino ad una sanatoria.
I controlli scatteranno invece soltanto dopo. Nel decreto attuativo non è stato specificato nulla in merito, da ambienti della maggioranza si fa riferimento a generici controlli che ad ogni modo avverranno in un momento successivo all’ottenimento dei requisiti per soggiornare nel nostro Paese.
Gli unici paletti, riguardano le categorie che possono presentare la domanda ed i requisiti temporali riguardanti i soggetti interessati. Sotto il primo fronte, la regolarizzazione potrà essere richiesta chi lavora come bracciante agricolo o chi è all’interno dell’ambito dei lavori domestici. Dunque, per intenderci, la norma è rivolta a braccianti, colf e badanti. Ma non solo: nel decreto attuativo, sono stati inseriti anche i codici Ateco di categorie riguardanti la filiera agroalimentare.
Se a presentare la domanda è il datore di lavoro, è possibile sanare la posizione di coloro che erano in Italia prima dell’8 marzo. Niente da fare invece per chi è arrivato in un momento successivo.
Per dimostrare che un soggetto era nel nostro Paese prima della data sopra indicata, è possibile presentare rilievi fotodattiloscopici, oppure da una dichiarazione sul territorio fatta prima dell'8 marzo, per motivi di studio, gare o turismo.Se invece la domanda è presentata direttamente dal lavoratore, il requisito è che quest’ultimo abbia un permesso di soggiorno scaduto al 31 ottobre 2019.
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