Ludovico Mazzarolli, ordinario di diritto costituzionale all'Università di Udine, gli italiani da tempo si sono abituati a eleggere sindaci e presidenti di Regione. Il premierato è un passaggio percepito come naturale?
«Sì, gli italiani sono sicuramente pronti a una riforma quale quella in discussione, posto che non credo che nessuno rinuncerebbe facilmente all'elezione diretta dei vertici di regioni e comuni. Questa riforma sicuramente non costituisce lo stravolgimento di una cultura acquisita. Detto questo va spiegata bene con tutta la calma che una modifica di questo tipo comporta: c'è tutto il tempo per farlo».
Come giudica il ruolo dell'eventuale secondo premier? Quali implicazioni comporta?
«Lo giudico come un paradosso, certamente è una novità, sicuramente è in linea con l'idea che spinge l'esecutivo a rafforzare la governabilità. Il paradosso sta nel fatto che quell'ipotesi - che è assai difficile che si possa verificare - rafforza la figura del Capo lo Stato il cui ruolo viene esaltato al massimo. L'automatismo della scelta del sostituto del premier mica è così facile da realizzare. Qualora ci si trovasse di fronte a siffatta eventualità il potere del Presidente della Repubblica risulterebbe esaltato, non già ridimensionato».
Il premierato indebolisce il Parlamento?
«Parlare oggi di un indebolimento del Parlamento è un altro paradosso. Non c'è mai stata un'epoca in cui esso è stato più debole di oggi, ha perso potere verso il governo, la Corte costituzionale, l'Europa. Da decenni il governo fa quello che vuole per il timore delle Camere di andare alle elezioni. Di certo con il nuovo sistema avremmo un governo più forte, ma la vera chiave di tutti i meccanismi di funzionamento di una forma di governo è e resta la legge elettorale».
C'è chi dice che questa riforma possa depotenziare Sergio Mattarella.
«Siamo sinceri, Sergio Mattarella è anche l'autore del sistema - il Mattarellum - con cui sono state elette le Camere dal 1993 al 2005, sono quindi sue le leggi in senso prevalentemente maggioritario che hanno garantito la maggiore stabilità dei governi della storia repubblicana. L'idea che possa essere contrario a una riforma siffatta è risibile perché quelle leggi furono fatte sull'oda dei referendum del 91 e del 93 e dunque per seguire una volontà di popolo, per conoscere il nome del premier la sera delle elezioni, all'inglese».
Il premierato suggerisce una revisione della legge elettorale?
«Assolutamente sì. Sono per vocazione favorevole al sistema maggioritario, ma sono disposto a cedere a un sistema proporzionale in cambio di un premio di maggioranza netto. Non mi entusiasma vedere scritto nella Carta il quantum del premio, però è quello che garantisce il funzionamento del sistema».
Come giudica il superamento dei senatori a vita di nomina presidenziale?
«È da anni che mi auguravo una cosa del genere, l'idea che siano esistiti esecutivi che si reggevano sul voto decisivo di senatori non eletti dal basso nella verifica della fiducia parlamentare è il contrario del sistema rappresentativo. Va benissimo mantenere gli emeriti perché saranno sempre in numero tale da non poter essere decisivi».
Pensa che si finirà per rimettere la riforma al giudizio dei cittadini attraverso il referendum?
«Sono quasi certo che il presidente del Consiglio cercherà accordi in Parlamento per arrivare ai due terzi dei voti in seconda battuta. Il referendum è una scommessa e tutto può accadere.
Almeno qui si parte con una maggioranza compatta, cosa che non fu ai tempi di Renzi, avversato da componenti della sua stessa maggioranza, come D'Alema e Bersani. In ogni caso auspicherei che si ragionasse sul merito giuridico della riforma e non si arrivasse a un voto politico».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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