Il refrain - accreditato strumentalmente da politici incapaci, medici in confusione e opinionisti da bar sport - secondo cui «la colpa» della diffusione del Covid sarebbe riconducibile ai «comportamenti irresponsabili degli italiani» non sta più in piedi.
La verità è un'altra: l'emergenza Coronavirius ha ormai assunto la forma di una clava politica per regolamenti di conti funzionati alla gestione del potere. Chi ha la sventura di inciampare nello sgambetto malevolo del contagio lo impara a proprie spese. Dall'attimo in cui il corpo manifesta i sintomi dell'infezione, si apre il baratro. Basta una telefonata all'Ats (Agenzia tutela della salute) - cioè il primo presidio che, in teoria, deve difenderti dal virus - per capire che si è condannati a rimanere soli con la malattia. E che quelle che ascoltate in tv sono solo chiacchiere prive di senso. Verità virtuali che la realtà sbugiarda vergognosamente. Altro che «assistenza domiciliare telematica». Se hai febbre e tosse, il call center di turno ti dirotta su qualcuno che dovrebbe spiegarti il «protocollo sanitario» da seguire, ma che in realtà è solo in grado di dirti tre cose: 1) che «devi isolarti a casa per 10 giorni»; 2) che «il tampone non possono farlo perché la lista d'attesa è lunga»; 3) che «ti richiameranno alla fine dei 10 giorni». Un lasso temporale nel quale puoi guarire o crepare senza che mai nessuno ti «richiami» davvero». E se chiedi: «Ma il tampone posso farlo privatamente?» (costo: dagli 80 ai 120 euro ndr), l'Ats ti zittisce: «No. L'abbiamo presa in carico noi, lei è in isolamento e non può uscire di casa, anzi dalla sua stanza». Peccato che la «presa in carico» sia, in concreto, una enorme presa per i fondelli. Nei giorni successivi la telefonata di «controllo» rimane una chimera. E il fantomatico «tracciamento dei contatti»? Se il malato lo fa di sua volontà con un autonomo giro di telefonate, bene; altrimenti, peggio per tutti. Una cosa è certa: l'Ats oggi non è più in grado di ripercorrere a ritroso la mappa dei potenziali soggetti a rischio contagio. La situazione è fuori controllo. E sulla farsa della app Immuni meglio stendere un velo pietoso. Sta di fatto che finché i sintomi rimangono nel range della sopportabilità, il «recluso» in casa resiste. Ma quando la sensazione è quella dell'aggravamento, ecco che il «prigioniero» evade comprensibilmente dall'isolamento cercando aiuto al pronto soccorso. Dove, grazie a questa catena di inefficienza, il rischio-epidemia si amplia a dismisura. Impressionante lo scenario testimoniato da Simone Manca, presidente di Simeu (Società Italiana della medicina di emergenza-urgenza): «I presidi ospedalieri Covid sono saturi. I posti destinati ai contagiati che erano stati aumentati negli ospedali durante il lockdown sono stati chiusi e dismessi. Non ci sono più i monitor e i letti. I tempi tecnici per riattivarli non sono rapidissimi anche perché manca il personale». E poi: «I pronto soccorso sono presi d'assalto da persone che temono di avere il Covid e cercano una risposta che la medicina territoriale non gli sta dando. Va da sé che i cittadini vedano nel presidio ospedaliero d'urgenza l'unico punto di riferimento.
Si parla di almeno un 30% di pazienti asintomatici e paucisintomatici che dovrebbe essere gestita in modo diverso». Ma sarebbe troppo complicato e costoso. Molto più facile ed economico dare la colpa ai «comportamenti irresponsabili degli italiani».
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