Joe Biden ha un problema che rischia di costargli la rielezione. Non è l'età, non è l'economia, non è nemmeno l'inflazione. E non è neppure la guerra in Ucraina, uno dei pochi temi sui quali al Congresso si registra un consenso bipartisan. Il problema è al confine col Messico e si chiama immigrazione irregolare e, soprattutto, fentanyl. L'oppioide sintetico, più potente di morfina ed eroina, prodotto dai cartelli della droga messicani con componenti fatti arrivare dalla Cina, secondo le statistiche uccide una media di 150 americani al giorno.
Un'epidemia che ha soppiantato quella degli oppiodi legali, dopo le cause miliardarie contro le case farmaceutiche che «spingevano» l'uso sconsiderato di questi farmaci, portando alla dipendenza milioni di americani. I Repubblicani ora non si limitano più a puntare il dito contro il presunto lassismo della Casa Bianca. Il fronte dei candidati Gop alla Presidenza, Donald Trump in testa, sta sempre più accarezzando l'idea di lanciare una vera e propria «guerra» contro i Cartelli messicani, mettendo in campo tutta la potenza militare Usa. Non più azioni in coordinamento con la polizia messicana, col coinvolgimento delle varie agenzie federali e della Cia, ma l'impiego di Forze Speciali per raid oltre confine e bombardamenti aerei sulle roccaforti dei Signori della Droga.
«Imporrò un embargo navale totale contro i cartelli della droga e impiegherò i militari per infliggere il massimo danno alle loro operazioni», ha annunciato Trump in un video registrato al confine. «Congelerò i loro beni, costruirò il muro e consentirò all'esercito più potente del mondo di combattere questi terroristi», ha detto a maggio l'altro candidato Gop, Tim Scott. Sulla stessa linea anche Nikki Haley, altra candidata repubblicana, che vuole combattere i Cartelli alla stregua di quanto fatto contro l'Isis in Medio Oriente. Quanto al principale sfidante di Trump, il governatore della Florisda Ron DeSantis, per ora non appoggia l'uso della forza militare, ma assicura che in caso di elezione, soprattutto in chiave anti-immigrazione, userà il pugno duro contro le organizzazioni criminali messicane.
Al Congresso, nel frattempo, si stanno gettando le basi per gli strumenti legislativi che consentirebbero operazioni militari all'interno dei confini di un Paese amico e, incidentalmente, principale partner commerciale degli Usa. I deputati Gop Dan Crenshaw e Mike Waltz a gennaio hanno presentato alla Camera una proposta di legge per autorizzare l'uso della forza militare contro i cartelli, equiparandoli ad altri gruppi terroristici. Altre proposte di legge, come quella del senatore repubblicano Lindsey Graham, chiedono invece di designare i Cartelli «Organizzazioni terroristiche straniere» (Fto) e il fentanyl come un'«arma chimica».
Il Messico, che dal 2006 ha lanciato una propria guerra ai cartelli della droga, con esiti per lo più fallimentari, non ci sta a essere bollato come un potenziale campo di battaglia. A marzo, dopo il rapimento (per errore) oltreconfine di un gruppo di americani e l'uccisione di due di loro, in risposta ai «venti di guerra» invocati da alcuni esponenti repubblicani, il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador replicò duramente: «Siamo uno Stato libero, indipendente e sovrano. Non siamo un protettorato o una colonia degli Stati Uniti».
Una preoccupazione, quella di una crisi disastrosa col Messico, che è non solo dell'attuale amministrazione. A marzo, durante una conferenza, il generale Mark Milley, capo degli Stati maggiori riuniti, ha sconsigliato «qualsiasi azione compiuta senza il sostegno del Messico». Anche sul fronte repubblicano c'è chi si mostra più cauto.
L'azione militare contro i cartelli messicani è un'idea potenzialmente «grandiosa», ha detto a The Hill Michael McCaul, presidente della Commissione Esteri della Camera, ma «essenzialmente sarebbe come dichiarare guerra al Messico». Meglio altre operazioni, «meno appariscenti».
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