I russi lasciano Kreminna, si temono ritorsioni

La città chiave del Lugansk è libera, ma ora Kiev ha paura di una nuova Kherson

I russi lasciano Kreminna, si temono ritorsioni

Fino a l'altro ieri nessuno o quasi aveva sentito parlare di Kreminna, città ucraina del Lugansk occupata dai russi nello scorso mese di aprile. Adesso questa piccola città che nel 2020, prima della guerra, contava poco più di 18mila abitanti, potrebbe diventare decisiva per il conflitto. Da lì passa la linea del fronte: chi la controlla, ha in mano di fatto tutta la regione. E dopo mesi di occupazione, ieri il comando russo ha lasciato la città. Non solo i militari ma anche alcuni civili che erano arrivati per motivi di lavoro, sono fuggiti. Il governatore del Lugansk Sergey Haidai ha annunciato la liberazione ma senza trionfalismi: i russi infatti non sarebbero troppo distanti e la minaccia rimane forte. «Dopo la liberazione di Kreminna ci sono due opzioni: spostarsi a Starobilsk, principale centro logistico della regione, o aiutare Bakhmut e andare a Rubizhne e Severodonetsk». Secondo Haidai infatti, il comando militare russo di Kreminna si sarebbe spostato in altri insediamenti occupati.

La minaccia rimane forte quindi, come a Kherson, altra città liberata dall'occupazione e finita nel mirino di una vendetta durissima. Centinaia di civili terrorizzati dai bombardamenti russi sono in fuga con code di auto all'uscita dalla città. «Prima i russi ci bombardavano da sette a 10 volte al giorno, ora sono 70-80 volte, è troppo», raccontano alcuni civili. Situazione drammatica anche a Bakhmut, nel Donbass. «L'anno scorso ci vivevano 70mila persone. Ora vi sono rimasti solo pochi civili. Non c'è luogo che non sia coperto di sangue. Non c'è ora in cui non si senta il terribile rombo dell'artiglieria», ha detto il presidente ucraino Voldymyr Zelensky eleggendo la città a simbolo della resistenza. «Bakhmut resiste, il Donbass ucraino resiste», ha detto.

Bombe e missili, nonostante sul campo per i russi le sconfitte siano più che le vittorie, e ancora parole minacciose con proclami assortiti da parte dello stato maggiore russo.

Se il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ribadisce che «non ci può essere piano di pace per l'Ucraina che non prenda atto delle realtà di oggi riguardo il territorio russo, con l'ingresso di quattro regioni nella Russia», avallando quindi i referendum farsa, il ministro degli Esteri Lavrov sbatte la porta all'ipotesi di una mediazione americana. «Manteniamo i contatti e questo è positivo e utile ma in quanto tale non esiste un canale di dialogo tra Mosca e Washington». Non esattamente un'apertura verso un possibile dialogo. MBas

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