I segnali dell'Occidente (respinti al mittente) per una via d'uscita

Politica e opinione pubblica spingono per una soluzione alla crisi. Gli attori in campo frenano. Per ora

I segnali dell'Occidente (respinti al mittente) per una via d'uscita
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Tra pochi giorni sarà un anno e mezzo di guerra. Non la «guerra tra Russia e Ucraina» di cui parlano i superficiali, ma la guerra d'aggressione che la Russia sta conducendo in spregio scandaloso del diritto internazionale ai danni di un Paese indipendente e del suo popolo libero. Proprio queste caratteristiche inequivocabili del conflitto hanno spinto l'Occidente a unirsi nel sostegno a Kiev, andando molto al di là di quanto al Cremlino prevedessero: tant'è che Vladimir Putin va ripetendo indignato in questi giorni che «l'Occidente causa il prolungamento del conflitto». Come se intralciare le sue mene imperiali offrendo aiuto per difendersi a un Paese aggredito fosse un'incredibile intromissione in presunti affari interni. L'impegno occidentale ha coerentemente preso vedi il recente vertice Nato di Vilnius caratteristiche di lungo termine, ma le ragioni della politica tirano anche in altre direzioni. Mentre a Mosca questi problemi semplicemente non esistono (Putin è di fatto presidente a vita e l'opposizione è in esilio o in galera), negli Stati Uniti e in Europa bisogna fare i conti anche con un'opinione pubblica che fatica crescentemente a capire il senso di stare con l'Ucraina. Negli States un Donald Trump che promette di abbandonare Kiev al suo destino strizzando l'occhio a Putin gode di un consenso su cui al Cremlino ripongono molte speranze, e il presidente Joe Biden deve tener conto di certe sensibilità nella campagna per le presidenziali del 24. E in Germania, come in Francia, veleggiano nei sondaggi movimenti di estrema destra apertamente filorussi.

Sono segnali di stanchezza di cui la politica deve tener conto, pur mantenendo il più possibile la barra nella giusta direzione. Ma anche dal campo militare giungono segnali: l'ultimo, per bocca di un assistente molto vicino al segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, ha fatto sussultare la dirigenza ucraina. Kiev, ha detto Stian Jenssen, potrebbe ottenere l'adesione alla Nato se accettasse di cedere suoi territori alla Russia. Concetto attualmente indigeribile a Kiev, che l'ha definito «ridicolo». Jenssen ha poi precisato che si riferiva a ipotetici scenari futuri e che spetta all'Ucraina l'ultima parola. Ma il punto rimane. Lo stesso Jenssen ha sottolineato che «la mia principale preoccupazione è che quando questa guerra finirà l'Ucraina ottenga garanzie per la sua sicurezza futura». In questo momento né l'Ucraina né tantomeno la Russia hanno la minima intenzione di affidarsi alla diplomazia, ma sullo sfondo il tema comincia confusamente ad agitarsi.

Giustizia vorrebbe che la Russia lasciasse i territori ucraini occupati e i suoi dirigenti rispondessero davanti a un tribunale internazionale dei loro crimini. Ma buon senso suggerisce che, se la vittoria totale sul campo sfuggisse all'Ucraina, i suoi dirigenti considerassero per tempo un'alternativa l'ingresso condizionato nella Nato che offrirebbe molti vantaggi.

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