Un'altra stretta ancora quest'anno, e appena due sforbiciate ai tassi il prossimo. La Federal Reserve che tira fuori gli artigli non è piaciuta ieri ai mercati. Un colpo basso, e inatteso, che ha dato la stura a vendite diffuse nelle Borse (-1,78%. Milano, -1,3% l'Eurostoxx600), tracimando anche sul versante dei titoli di Stato (il rendimento del Btp a 10 anni è salito fino al 4,53%, correggendo i massimi dal marzo scorso).
L'umore dei mercati è plumbeo. Non potrebbe essere altrimenti, poiché la svolta in chiave restrittiva di Eccles Building indica a chiare lettere che se l'inflazione non viene ancora considerata sconfitta negli Usa, dove in agosto si è attestata al 3,7%, a maggior ragione la vittoria resta un traguardo lontano nell'eurozona (prezzi al consumo al 5,2%). Con il giro di vite della scorsa settimana, la Bce ha assunto un atteggiamento ambiguo: da un lato, ha affermato nel comunicato ufficiale che l'attuale livello dei tassi riporterà l'inflazione prossima al target del 2%; dall'altro, la presidente Christine Lagarde, ha segnalato che i restringimenti della politica monetaria potrebbe non essere finiti. Un punto ribadito proprio ieri da Joachim Nagel, numero uno di quella Bundesbank che fa da capo-stormo ai falchi dell'istituto. A significare che all'interno dell'Eurotower, dove l'ala dura è forte di una solida maggioranza, la pulsione resta quella di sempre: mantenere il pugno di ferro. E continuare a ignorare i dati più legati al ciclo economico (la recessione viene del resto esclusa), restando con l'occhio vigile solo su quelli relativi ai prezzi al consumo. Le quotazioni del petrolio che veleggiano verso i 100 dollari al barile indurranno ancor più la Bce a non abbassare la guardia; la Fed, pronta a varare entro dicembre il dodicesimo aumento dei tassi, produrrà verosimilmente un effetto imitativo, non fosse altro per evitare di importare inflazione dai rapporti di cambio.
Tutto ciò al netto di previsioni che, dal Covid in poi, si sono rivelate sgangherate da una parte all'altra dell'Atlantico. Una su tutte: la topica storica sull'inflazione «temporanea». Le ultime stime rilasciate mercoledì scorso dalla Fed sembrano frutto di una seduta lisergica, con il Pil visto salire quest'anno del 2,1% e con un'ottimistica revisione al ribasso dell'inflazione core al 3,7%. Nei prossimi giorni il dato sul Pil dirà com'è andato il terzo trimestre, ma l'indice manifatturiero della Fed di Philadelphia (in contrazione questo mese) sembra segnalare che sull'America tira già un'aria di stagflazione.
Mentre vanno male gli ordini (-10,2%), le aziende sono costrette a subire altri rincari (cinque punti in più, a quota 25,7). La miscela di stagnazione e inflazione è sabbia negli ingranaggi della macchina elettorale di Joe Biden. Il capo della Fed, Jerome Powell, rischia di farla grippare del tutto.
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