I timori dell'Irlanda al voto: in testa chi vuole l'isola unita

Per la prima volta i nazionalisti dello Sinn Fein avanti nei sondaggi. A rischio il partito del premier Varadkar

I timori dell'Irlanda al voto: in testa chi vuole l'isola unita

Londra L'Irlanda oggi va al voto per eleggere il nuovo Parlamento, un passaggio elettorale fondamentale per il futuro del Paese e dell'Europa. Perché chi uscirà vincitore dalle urne avrà un ruolo di primo piano nelle negoziazioni tra l'Ue e il Regno Unito sulla relazione economica da plasmare dopo l'uscita di Londra dall'Unione.

Poche migliaia di abitanti delle piccole isole di fronte la costa occidentale hanno già votato ieri per questioni logistiche. Per tutti gli altri il voto di oggi è il primo da oltre un secolo che si tiene in un fine settimana, la volta precedente era il 1918, prima dell'indipendenza. Secondo i sondaggi la gara è apertissima e i tre principali partiti sono molto vicini. Il risultato sorprendente riguarda i nazionalisti del Sinn Féin che guidano la corsa con circa il 25%. Sarebbe un sorpasso senza precedenti nella storia irlandese, dove la maggioranza e il governo del Paese sono sempre stati questioni appannaggio del Fianna Fáil e del Fine Gael, il partito dell'attuale premier Leo Varadkar.

Al risultato positivo del Sinn Féin stanno contribuendo diversi fattori: innanzitutto un'opera di rinnovamento interno, alla cui regia c'è Mary Lou McDonald, la nuova leader del partito succeduta a Gerry Adams nel febbraio del 2018. Il cambio ai vertici ha permesso al Sinn Féin di intraprendere la strada della riconciliazione nazionale, cominciando a lasciarsi alle spalle un'immagine e memorie storiche tragiche e divisive. Il percorso è agli inizi e moltissime sono ancora le voci contrarie, con il Fianna Fáil e il Fine Gael che, anche per ragioni elettorali, promettono di non scendere a patti con la formazione di McDonald. Tuttavia il tentativo di normalizzazione è stato intrapreso e al momento sta pagando, anche grazie a fattori esterni. Quella che si concluderà oggi è una elezione che è stata combattuta soprattutto su due questioni: la carenza di case e la sanità. Dublino è una città che sta vivendo un boom immobiliare, con i prezzi delle abitazioni e gli affitti in aumento vertiginoso. Una situazione non dissimile dal resto del Paese, che sta vanificando i benefici economici della crescita economica più alta d'Europa (5.6% nel 2019). Ospedali sovraffollati e carenza di personale e strutture, sono l'altra grande questione. Per entrambi i problemi il Sinn Féin presenta ricette di sinistra, maggiore tassazione e più investimenti pubblici, che stanno facendo breccia nelle persone. Più di quanto stiano riuscendo a fare le soluzioni più tradizionalmente liberali del Fianna Fáil e del Fine Gael.

Vi è poi la questione Brexit, che ha tuttavia rappresentato un terreno di scontro secondario. Durante le trattative tra Londra e Bruxelles i partiti sono rimasti compatti nel sostegno al premier Varadkar, che guidava un governo di minoranza. L'avere indetto nuove elezioni subito dopo l'intesa raggiunta con Johnson voleva essere per il premier un modo per passare all'incasso, facendo leva sul successo di un accordo che ha salvato (per il momento) l'economia dell'isola. Tuttavia, come recita lo slogan elettorale del Sinn Féin, sembra che sia «ora di cambiare». Difficile per Varadkar uscire vincitore, improbabile anche per i nazionalisti, che non presentano candidati in tutti i seggi del Paese e sono sottoposti all'ostracismo degli altri due partiti principali.

L'esito possibile è una vittoria del Fianna Fáil di Micheál Martin e l'ennesima coalizione assieme al Fine Gael, con il Sinn Féin all'opposizione. Perché la strada per guarire dalle ferite della guerra civile è ancora lunga.

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