Cina e Taiwan si aggiungono alla lunga lista di Paesi che si adeguano all'imminente inizio del secondo mandato di Donald Trump alla Casa Bianca. Loro malgrado, perché nella migliore delle ipotesi su ciò che davvero vorrà fare il prossimo presidente americano in ambito cinese aleggia una fitta nebbia di incertezza, mentre nella peggiore torneranno di attualità modalità aggressive come la guerra commerciale tra Washington e Pechino (ma forse anche con Taipei per via della contesa sui microchip) e la pretesa di Trump che i taiwanesi «paghino di più per essere difesi da noi» come se difendere Taiwan dall'espansionismo cinese fosse una gentile concessione priva di vantaggi geostrategici per gli Stati Uniti: ma questo è Donald Trump.
Ieri il presidente cinese Xi Jinping (foto a sinistra), inquieto per la minaccia del presidente eletto americano di imporre sulle merci del suo Paese dazi altissimi, ha fatto una prima mossa conciliante. In un messaggio di congratulazioni per la sua vittoria elettorale, ha rivolto a Trump un invito al dialogo. Cina e Stati Uniti ha detto Xi - «dovrebbero andare d'accordo in una nuova era di stabilità» perché «la Storia ha dimostrato che entrambe traggono vantaggio dalla cooperazione mentre soffrono dal confronto». Sagge parole, che sembrano direttamente ispirate dalle accorate raccomandazioni che Henry Kissinger, nel suo ultimo viaggio compiuto in Cina nell'estate dell'anno scorso quando era ormai centenario, aveva rivolto alla leadership di Pechino, dalla quale era molto considerato. La realtà del presente, tuttavia, parla di rivalità e contrasti in quasi ogni campo dal commercio allo status di Taiwan fino al delicato dossier dello spionaggio ai danni degli Usa - sullo sfondo futuribile di uno scontro inevitabile per l'egemonia globale. Con il ritorno di Trump, Xi certamente vede rischi accresciuti per la già difficile ripresa dell'economia cinese, che non si è mai del tutto riavuta dalla botta dell'epidemia di Covid e che ora ambisce a un tasso di crescita del 5% annuo. Da qui la mano tesa per un dialogo salvifico.
Il vero problema, però, è l'imprevedibilità delle mosse della prossima amministrazione Trump.
Si potrebbe assistere alla ricerca di un'intesa così come alla effettiva imposizione di dazi del 60% sull'export cinese verso gli Stati Uniti. A Pechino c'è chi confida in un ruolo di ponte affidato a Elon Musk, che in Cina ha forti interessi. Ma naturalmente c'è lo scoglio Taiwan. Neanche a Taipei sanno come Trump si comporterà nei loro confronti.
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