I tormenti di Forza Italia tra Meloni e un nuovo centro

Nel partito rimpallo di responsabilità per i risultati elettorali. Giacomoni: rilanciare l'identità moderata

I tormenti di Forza Italia tra Meloni e un nuovo centro

Dieci incontri in due mesi, ma alla fine il matrimonio tra Mara Carfagna e Carlo Calenda è saltato. Una trattativa spasmodica che ha visto impegnato addirittura il consorte dell'attuale vicepresidente della Camera, Alessandro Ruben, incentrata su mille particolari, corollari, commi contrattuali: la Carfagna presidente e Calenda segretario; potere di veto del presidente sulle decisioni del segretario; ed ancora, un nuovo simbolo per Azione di Calenda che contenesse anche la parola Italia per rimarcare la provenienza della Carfagna; e, infine, il 50% delle candidature espresse dalla parte del ministro dello Sviluppo Economico del governo Renzi e l'altra metà indicata dal ministro delle Pari opportunità del gabinetto Berlusconi. Tanto lavoro, per nulla. Calenda ha giudicato eccessive le richieste della Carfagna e l'epilogo è stato l'ennesimo buco nell'acqua.

Così un'altra delle possibili fusioni tra le tante anime che popolano il centro moderato è fallita.

Troppi personalismi, per alcuni versi, troppi egoismi, che caratterizzano questo segmento politico, potenzialmente strategico, ma che non riesce ad organizzarsi per diventare adulto nei numeri e nelle leadership. Una sorta di maledizione che attraversa l'area moderata e arriva fino ai confini con la destra. La verità è che si parla molto di nomi e poco di politica, di progetti. Un meccanismo infernale, che fatalmente genera gelosie, incomprensioni, che producono solo e soprattutto divisioni. «Mara - è l'analisi psicologica in cui la forzista Laura Ravetto si avventura - promette e basta».

Appunto, tutto è calato in un universo prepolitico, che spesso può essere compreso solo usando le categorie della sociologia e della psicanalisi. È quello che capita pure in quel lembo del centro, spostato sulla destra, che è Forza Italia. Anche qui i risultati elettorali hanno messo tutto il gruppo dirigente in ebollizione. Anche qui i nominalismi la fanno da padrone. Almeno la Carfagna propugna una sorta di ribellione al sovranismo per riconquistare un'identità moderata. Invece, l'insofferenza dei più è figlia, soprattutto, di risultati elettorali non entusiasmanti e della presa d'atto che con la vittoria del Sì al referendum nella prossima legislatura il Parlamento viaggerà su numeri ridotti e ci saranno meno scranni a disposizione. Due fatti che hanno dato vita al fenomeno perverso del «si salvi chi può». Con relativi scontri. La vulgata parla delle due capigruppo di Forza Italia in rotta di collisione con due esponenti che hanno avuto molta influenza negli ultimi mesi, Tajani e Ronzulli. C'è un rimpallo di responsabilità per i risultati elettorali in un linguaggio che gli interlocutori degli uni e degli altri - per usare un eufemismo - descrivono come colorito. Il dramma è che nessuno pensa di ridefinire l'identità di questo mondo che un tempo era l'asse portante del centrodestra e, oggi, potrebbe occupare una posizione strategica nella geografia politica che, se sfruttata bene, potrebbe consegnargli il ruolo di ago della bilancia nella dialettica politica. No, il dibattito - e le alleanze - sono condizionate dalla borsa dei consensi degli altri partiti che dovrebbero garantire - chissà poi perché - l'elezione di questo o quel pezzo del gruppo dirigente: un tempo fu Renzi; poi la volta di Salvini; ora, con l'occhio rivolto a sondaggi e risultati elettorali, molti guardano a Giorgia Meloni o, addirittura, all'embrione di un nuovo partito cattolico che tiri in mezzo Giuseppe Conte. «I miei pensano - osserva l'azzurro Roberto Novelli che nelle comunali di Cividale del Friuli ha preso più voti della Lega - solo a salire su un automobile da quattro posti, in cui già ci sono cinque persone. Non capiscono che nessuno è disposto a scendere per cedergli il posto». «Il problema - spiega Sestino Giacomoni, uno dei consiglieri del Cav - non sono le facce. Anche perché ancora oggi l'unica faccia che tira tra noi è quella di Berlusconi. Ma dei contenuti che rilancino un'identità moderata diversa da Salvini e da Meloni sempre nel centrodestra. E, invece, qualcuno pensa che qualcuno, prima Salvini e ora la Meloni che forse ha più posti, potrebbe tirarli a bordo. Francamente non capisco perché dovrebbero farlo».

Eh sì, la questione che condiziona, ma non solo da queste parti, le attuali logiche della politica è la riduzione dei parlamentari. Molti l'hanno sottovalutata, magari non se ne sono resi conto al momento, ma ora se la ritrovano davanti. In quest'ottica quella battuta di Niccolò Ghedini rivolta ad una esponente di primo piano di Forza Italia - riportata da Enrico Costa, ex forzista passato con Calenda - non ha nulla di polemico, ma è solo l'invito a una presa d'atto: «Non avete capito che dovete trovarvi un lavoro!».

La verità è che - con un terzo di posti in meno - nessuno è più garantito e la possibilità di continuare ad avere una presenza in politica, è legata alla capacità di dargli un senso. Più dei nominalismi, in questo momento servirebbe un progetto, una visione, su cui si può innestare anche un tentativo di rinnovamento: se poi dovrà guardare a destra o al centro si vedrà. È su quel progetto che uno può decidere se è meglio il proporzionale o il maggioritario, o quale rapporto instaurare con questo o quell'altro alleato. Anche perché una forza di 150 parlamentari potrebbe avere una voce in capitolo determinante. O altrimenti rischi di consegnarti agli altri, o, peggio, di essere ingoiato dagli altri. «Qui abbiamo due strade davanti - osserva tranchant Gianfranco Rotondi - o tentiamo di mettere in piedi una cosa con la Meloni, che sta mutando le sue posizioni sull'Euro e viene dall'esperienza comune del Pdl; oppure, tentiamo l'avventura di un nuovo grande partito cattolico con Conte e, magari, pure con Renzi».

Congetture. La verità è che con i nuovi numeri tutti debbono ripensarsi. E se si arriverà al proporzionale ancora di più. E tutti, visto che ci saranno meno spazi in Parlamento, debbono sviluppare la propria identità. Succede anche nella Lega dove l'ala di Zaia, o quella di Giorgetti, hanno scoperto un protagonismo più marcato: il primo gioca tutta la sua partita sull'autonomia; il secondo su un rapporto con l'Europa diverso dal sovranismo salviniano, anche perché con i 209 miliardi Recovery fund e la presidente Commissione Ue che propone l'abolizione del trattato di Dublino sull'immigrazione, certe posizioni intransigenti rischiano di essere datate. La Meloni, invece, che da tempo punta ad assorbire pezzi di nomenklatura azzurra sul territorio ha l'ambizione di sostituire Forza Italia. Non è una boutade, sono discorsi che la Santanchè già faceva due anni fa e l'operazione va avanti: se uno analizza il dato delle ultime elezioni si accorge che i voti persi dagli azzurri, addirittura quelli che erano una volta i suoi candidati, sono finiti in Fratelli D'Italia. L'apertura della Meloni alle preferenze nella nuova legge elettorale è un altro passo.

Per cui Forza Italia per non soccombere deve accompagnare un rinnovamento, indifferibile, con un aggiornamento della propria identità. Se gli azzurri, invece, si dedicheranno solo a nominalismi, personalismi, gelosie, trattative ad personam separate, l'epilogo è già scritto: spariranno.

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