I treni, Ramy e quelle accuse irrazionali

In treno danneggia la linea elettrica di alimentazione della cintura milanese, mandando in tilt la circolazione ferroviaria per alcune ore. Le responsabilità sono state individuate immediatamente ma l'attribuzione è errata

I treni, Ramy e quelle accuse irrazionali
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Due polemiche che riempiono in queste ore le pagine dei giornali e i notiziari tv evidenziano meglio di molti altri fatti l'abisso di ipocrisia in cui è precipitato il dibattito politico italiano. Due velenosi dibattiti scollegati dall'elemento cardine su cui si basa la civiltà occidentale: il principio di razionalità. I due eventi sono molto diversi tra loro, ma la strumentalità dei loro ingredienti è simile.

Primo fatto: un treno danneggia la linea elettrica di alimentazione della cintura milanese, mandando in tilt la circolazione ferroviaria per alcune ore. Evento disdicevole, certamente foriero di disagi per molte persone. E altrettanto certamente la politica avrebbe dovuto occuparsene pretendendo di conoscere le ragioni dell'accaduto, non fosse altro per evitare che possa ripetersi. Nulla di tutto questo ho letto. Le responsabilità sono state individuate immediatamente e la sanzione richiesta a furor di agenzie: le dimissioni del ministro dei Trasporti.

Ora, Salvini non sarà uomo esente da peccati, ma mi risulta davvero complesso attribuirgli la colpa di un treno che strappa un cavo elettrico in un luogo dell'immensa rete italiana. Certamente Salvini non guidava quel convoglio, quasi certamente non ha steso lui il filo di alimentazione tranciato, tenderei ad escludere anche che abbia progettato con matita e pantografo l'intricato nodo logistico. Se errore c'è stato, difficile ricondurlo ad una responsabilità politica. A meno che non valga come motivazione l'antico motto, caro ad ogni populismo: «Piove, governo ladro».

La cosa che stupisce di più è che nessuno si sia sentito fuori posto nel prendere carta e penna per chiedere le dimissioni di un ministro senza aver minimamente accertato un qualche nesso logico tra l'accaduto e l'attività politica del ministro stesso. E dire che se si volesse parlare di trasporti, ce ne sarebbero di temi su cui discutere seriamente. La sostenibilità in termini economici del servizio pubblico locale, la quantità di cantieri che il Pnrr e le sue scadenze ravvicinate hanno costretto ad aprire, tutti insieme, come se un uomo che da anni non si cura decidesse di ingozzarsi di medicine in poche ore per recuperare il tempo perduto. E ancora, quale coerenza c'è tra la riforma autonomista, bandiera della Lega dí Salvini, e una riforma centralista come quella che sembra si stia elaborando sui porti?

Insomma, ce ne sarebbero di elementi per dibattere e anche litigare, argomenti su cui la politica ha davvero la responsabilità della coerenza e dell'azione. E invece la gazzarra è su un filo tranciato, perché è più facile additare colpevoli, anche se inesistenti, che confrontarsi sulle ricette. Perché in questo caso occorre mettere in campo le proprie posizioni, magari scontentare qualcuno, assumersi sì, in questo caso, responsabilità politiche.

Più drammatico, ma altrettanto assurdo, il dibattito sulla morte del povero Ramy, il ragazzo che ha perso la vita alcuni giorni fa nell'inseguimento tra una gazzella e uno scooter a Milano. Ieri abbiamo assistito ancora una volta a manifestazioni sfociate in violenza contro le forze dell'ordine, accusate di pregiudizio nei confronti degli stranieri. Ad essere sul banco degli imputati, in questo caso, sono i carabinieri che, inseguendo un motorino che non si era fermato all'alt, avrebbero provocato l'incidente mortale. Ora, quale attinenza vi sia tra l'accaduto e il razzismo francamente risulta oscuro. Quale che sia stata infatti la dinamica dell'inseguimento infatti, vi è una certezza: i carabinieri che cercavano di raggiungere i fuggitivi non potevano sapere chi fossero le due persone a bordo del mezzo in fuga. Perché un agente può avere un legittimo pregiudizio verso chi non si ferma ad un posto di blocco, ma che quel pregiudizio potesse essere dettato dalla nazionalità o pelle dei fuggiaschi, è impossibile.

E allora quanto è fuori luogo una politica che si accapiglia su integrazione, periferie, trattamento riservato a stranieri, di prima o seconda generazione, giustificazioni psico antropologiche sul diritto alla fuga e alla resistenza, pregiudizi veri o presunti. In Italia esiste un tema di integrazione ed emarginazione, legato alle immense periferie abitate dagli ultimi arrivati, gli immigrati. Ma trasformare un motorino in fuga da un legittimo controllo in dibattito sociologico è strumentale e folle.

Una follia lucida e pericolosa però, perché inverte la razionalità del ragionamento pur di dimostrare un teorema non dimostrabile, semplicemente perché falso: siccome il governo è contro gli immigrati, la polizia è indotta ad agire con conseguente violenza, e dunque i due ragazzi immigrati in fuga sullo scooter scappavano dal razzismo. Peccato che nessuno sapesse, durante quell'inseguimento, chi fosse a bordo di quel motorino e perché fuggisse. Tranne i fuggitivi stessi.

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