Morire per uno squalo costituisce notizia perché è un fatto eccezionale, e non perché evidenzi un pericolo di cui tener conto, o una tendenza. I bagnanti con pinne e maschera o così pure i subacquei come lo scrivente (che è stato sul Mar Rosso quest'estate) insomma questa gente, gli squali, va a cercarseli espressamente: incontrarli è un speranza, avvicinarli è un'emozione che basta saper gestire.
Gli squali «mangiatori di uomini» non esistono da nessuna parte, e se mordono non è mai per cattiveria o istinto predatore, l'uomo non fa parte della loro dieta: se avviene, è per un errore di una delle parti. Se nel Pacifico ci sono più incidenti, è perché lì si usa di più il surf, la cui sagoma è scambiata dallo squalo per quella di una foca.
Che poi: di quanti incidenti parliamo? L'International Shark Attack File, per il 2023, parla di 10 risultati fatali. L'anno prima erano 9. Il Museo della Florida ha comparato le probabilità di morte lungo l'arco della vita: nel caso degli squali è una su 4 milioni 322 mila e 817. È più facile centrare un 5 al Superenalotto. È anche più facile morire affogati (una su mille) o in bicicletta (una su cinquemila) ma essere colpiti mortalmente da un fulmine: una su 79 mila. Secondo un calcolo del 2014, è anche più facile uscire di casa ed essere centrati da un meteorite in testa: una probabilità si 1.600.000, contro 4 milioni dello squalo. Registriamo, per contro, che l'uomo pesca circa cento milioni di squali all'anno. E neanche li ammazza: la pratica di pescare uno squalo e di tagliarli solo la pinna superiore (per fare la zuppa) e poi ributtarlo a mare, dove affogherà lentamente, è tipicamente asiatica.
Ci sono altre sorprese. Il Mar Rosso nell'immaginario rappresenta una meta discretamente esotica (anche se il mare, ora, a Berenice, non supera i 24 gradi) al pari della sagoma di uno squalo e dei suoi attacchi: non è che immaginiamo gli squali sotto casa. Sbagliato: in rapporto alle dimensioni, il Mediterraneo ospita più specie che in tutto il resto del mondo: 47 delle 465 presenti in tutto il Pianeta.
Il punto è che nel nostro mare gli squali non uccidono, e quasi mai attaccano: anzitutto perché l'Italia non ha una barriera corallina (dove altrove, gli squali, gironzolano alla ricerca di prede) e poi perché i pochi incidenti, appunto, si sono verificati in mare aperto dove le Verdesche (un tipo di squalo blu) si divertono a inseguire le navi. L'anno scorso le dieci vittime globali sono state attaccate e uccise in Australia, negli Stati Uniti, in Egitto, Messico e Nuova Caledonia.
Tornando all'Egitto, ergo, nel caso di Gianluca Di Gioia, è lecito sospettare un'estrema sfortuna.
Che lui si trovasse «oltre la zona di balneazione» è una scusa tipica degli egiziani, i quali, ridicolmente, permettono di
immergersi solo a pochissimi metri dalla costa (c'è un bagnino militaresco in maglietta rossa e fischietto) e, all'alba e dopo le 17, non ti fanno immergere proprio: quando, cioè, ci sarebbe più fauna da ammirare, squali compresi.
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