«L'eredità di Marco Biagi è ancora in buona parte incompiuta». L'anniversario della morte del giuslavorista ucciso dalle nuove Br il 19 marzo del 2002, padre della riforma del mercato del lavoro di cui si parla (a sproposito) in questi giorni, è colpevolmente passata sotto silenzio sui quotidiani. Non solo le frizioni tra governo e sindacato, non solo l'allarme eversione di matrice anarchica ma anche un avvelenato dibattito politico sulle ricette per uscire dalla crisi del mercato del lavoro, con idee discutibili come il salario minimo, hanno riacceso micce che sembravano spente. «Ci sono schegge impazzite che tuttora circolano e possono creare dei problemi», ha detto la sorella di Biagi, Francesca, durante la sua commemorazione. Ne parliamo con Maurizio Sacconi, che nel 2003 da sottosegretario al Lavoro curò la legge, in una stagione genuinamente riformista. «È un modo per riconoscere a Biagi il merito di aver introdotto, prima ancora che una normativa, una svolta culturale che ha segnato negli anni successivi le politiche del lavoro e le relazioni industriali».
Quali erano i pilastri?
«La comprensione della grande trasformazione del mercato del lavoro che si stava avviando, e che oggi percepiamo più nettamente, e l'introduzione di elementi di dinamismo in un mondo fatto di rigidità, di pretese di omologazione in una taglia unica delle regole e delle retribuzioni».
Pd e grillini vogliono il salario minimo. Serve davvero?
«La direttiva Ue che indica la necessità di un salario dignitoso preferisce che ci sia la contrattazione nazionale, riconosciuta come la migliore fonte di regolazione del salario, che copre in Italia tutti i lavoratori subordinati».
C'è un problema di contratti pirata, poco trasparenti...
«Fenomeno esiguo, contrastabile con l'attività ispettiva. Il problema è il lavoro povero perché fatto di poche ore per cui la soluzione non è nella paga oraria. Serve piuttosto un più agevole accesso alla buona occupazione attraverso una pluralità di operatori, pubblici e privati o privato-sociali, che intermedino l'incontro tra domanda e offerta con una buona formazione. Mancano le competenze ma mancano anche le persone. In un mercato in cui morde il declino demografico, potenzialmente c'è lavoro per tutti. La politica deve favorire l'investimento continuo nelle capacità, l'ascensore sociale è la risposta a ogni ragione di malessere».
Il Reddito grillino ha paralizzato il mercato del lavoro?
«Il reddito di cittadinanza deve servire ad accompagnare le persone a migliori possibilità di realizzazione. E in questo senso va modificato. Il dinamismo era la cifra di Biagi. La risposta ai tanti lavoratori insoddisfatti, che prestano lavoro il sabato e la domenica in attività neo servili, poco retribuite o insufficienti a una vita dignitosa, è in una società dinamica. Che offre opportunità perché l'economia e la società sono in movimento».
Che ne pensa della visita di Giorgia Meloni alla Cgil? Ci furono in passato polemiche dirette contro Biagi...
«Ci sono due meriti. Quello della premier di esserci andata e quella di Maurizio Landini di averla invitata. Cosa ci dicono? Due cose. La prima: ciascuno dei due ha mantenuto la propria identità; la seconda: la reciproca legittimazione e il legittimo rispetto. Questo è quello di cui abbiamo bisogno, per crescere ed evolverci, perché riavvicina la gente alla politica e consente alla politica di dare buone soluzioni senza conflitti».
La lezione che ci lascia Biagi?
«La
fragilità che la politica ha sin qui manifestato nel comprenderlo e nel dare attuazione alle sue intuizioni lo rende ancora più vivo. Invito il governo a rileggerlo e ad applicarne le proposte. Non c'è nulla da inventare».
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