No al confinamento. Le Regioni del Nord-ovest non vogliono farsi chiudere per altre due settimane, e non è per «egoismo». Numeri e misure alla mano, non lo considerano necessario. Fra oggi e domani cominceranno ad affluire i dati in base ai quali domani - o sabato al più tardi - sarà presa una decisione sugli spostamenti fra regioni. Sarà un decreto-legge a regolare questo nuovo step di ritorno alla normalità e il governo terrà conto di un livello di «rischio» risultante dalla combinazione fra indice di contagiosità, tamponi fatti e tenuta del sistema sanitario (in particolare le terapie intensive).
In Italia, ieri, si sono aggiunti 584 contagiati e 117 morti. In buona parte si tratta di incrementi segnati nelle Regioni del Nord-Ovest. In Piemonte sono 16 i decessi comunicati ieri, ma tutti avvenuti nei giorni precedenti e solo successivamente accertati come Covid. Pure in Lombardia il dato dei decessi resta alto (58) ma anche qui si tratta di un computo che comprende dati giunti in ritardo dai Comuni. D'altra parte i guariti e dimessi sono aumentati di 766 unità.
Il clima non è di allarme insomma, ma di cauto ottimismo. Il Piemonte ieri ha annunciato un'imminente ordinanza che introduce l'obbligo di mascherine - vigente in Lombardia da aprile - nei centri abitati e in tutte le aree commerciali. E anche a Palazzo Lombardia gli ultimi dati non sono considerati scoraggianti. Ieri i nuovi positivi sono risultati 216 (con 12.503 tamponi eseguiti), con soli 68 positivi in tutta la città metropolitana di Milano. Il totale ufficiale dei nuovi casi in Lombardia in realtà ammonta a 394, ma 197 di questi arrivano da Bergamo e 168 risultano da tamponi processati da un laboratorio privato a seguito di test sierologici condotti nell'ultima settimana da singoli cittadini: sono circa 8mila i test sierologici che hanno indotto a fare 885 tamponi e questi hanno «generato» questo dato. Inoltre l'Ats ha segnalato che 118 dei 168 positivi (il 70%) sono «debolmente positivi» e quindi sono considerati tali solo «in via precauzionale».
Stanno arrivando, insomma, i risultati di una campagna di tamponi a tappeto che rappresenta un passaggio importante di ritorno alla normalità. Fino a pochi giorni fa, e soprattutto a marzo e aprile, l'emergenza era in gran parte ospedaliera, e i tamponi erano il risultato di test condotti su decine e decine di pazienti che ogni giorno arrivavano nei pronto soccorso (si parla di 80-100 persone ogni giorno in ogni ospedale). Da qualche giorno i tamponi sono perlopiù il risultato delle nuove disposizioni, che prevedono il rilevamento della temperatura sui posti di lavoro e la «normalità ospedaliera», dove stanno riprendendo le attività di routine sospese a febbraio e marzo. Con un ulteriore incremento dei laboratori impegnati, i tamponi arriveranno a 22mila al giorno, e toccheranno quota 23.500 entro due settimane.
In Lombardia i grafici più importanti, i numeri esaminati con maggior sollievo, sono quelli che rappresentano le chiamate a Soreu (il sistema regionale di emergenza urgenza). Guardando in particolare l'andamento delle ambulanze chiamate per eventi respiratori critici (pazienti che non respirano) si vede un picco impressionante a marzo, soprattutto a metà mese e soprattutto a Bergamo-Brescia-Sondrio, dove si nei giorni peggiori si è arrivati a quasi 700 chiamate al giorno. Ora, si nota un crollo enorme e costante (siamo a meno di 80) e vale lo stesso in tutte le realtà sovraprovinciali, con una certa allerta solo a Milano-Brianza, che resta fra le 100 e le 150 chiamate, ma è un territorio da 4 milioni di abitanti.
Quello delle chiamate era stato il drammatico allarme due mesi fa, e questa oggi è la speranza che il peggio sia definitivamente passato.Altro motivo simbolico di speranza, l'annuncio che il presidente Sergio Mattarella il 2 giugno sarà in visita a Codogno, prima zona rossa d'Italia, a febbraio.
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