Ilva, dopo il disastro tutto da rifare

L'Appello: "Giudici non sereni nelle sentenze". Accolta la richiesta dei Riva

Ilva, dopo il disastro tutto da rifare
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Dopo 12 anni durante i quali è finita in un devastante falò la storia dell'Ilva, piegando il destino della siderurgia italiana, ora ci informano che probabilmente l'assalto della procura era viziato all'origine. Era il 26 luglio 2012 quando fu emessa dal Gip Patrizia Todisco l'ordinanza di sequestro degli impianti Ilva considerati, in base a una discutibilissima perizia, pericolosi per la salute umana. Oggi, dopo arresti, condanne, carcere vario e due amministrazioni straordinarie che hanno messo in ginocchio l'economia di Taranto e con essa tutta la siderurgia italiana, la Corte d'Appello del medesimo tribunale ha deciso di annullare la sentenza di primo grado con cui il 31 maggio 2021 (dopo anni di processo) vennero condannati i vertici dell'ex Ilva: in particolare i due membri della famiglia Riva (proprietari del complesso con la privatizzazione dagli anni '90), Fabio e Nicola, figli dell'ex patron Emilio (all'epoca scomparso), oltre a ex direttori di stabilimento, manager e politici coinvolti. L'inchiesta, che ha nome «Ambiente Svenduto», riguarda i danni ambientali che, secondo l'accusa, sarebbero stati provocati negli anni dallo stabilimento contiguo al capoluogo jonico. Un processo che di là della verità, ancora tutta da scrivere, ha pesantemente influenzato la vita industriale del polo siderurgico finito ai minimi termini per effetto di sentenze frettolose, ogni volta ribaltate. Basti dire che il 3 dicembre 2012 un primo decreto «Salva Ilva» autorizzava la prosecuzione della produzione dopo il primo stop. Poi, nel maggio successivo, lo stesso giudice disponeva un maxi-sequestro da 8 miliardi sui beni e sui conti del gruppo Riva. Altro giro, altro scossone; poco dopo l'ordinanza veniva annullata dalla Cassazione. Ma ormai era tardi: i primi commissari erano già in azienda. E da quel momento sarà caduta libera. Secondo la Svimez, tra il 2011 e il 2023, a causa del crollo dei quantitativi prodotti, il Sud ha perso, in termini cumulati, l'equivalente del 4,4% del suo Pil (circa 17 miliardi) mentre l'impatto sul Centro-Nord è stato complessivamente dello 0,54% (7 miliardi di euro). Totale: 24 miliardi andati in fumo.

Particolarmente rilevante è l'impatto sulle esportazioni (-11 miliardi, circa 1,4 miliardi nel solo 2023). Nel 2011 l'Ilva produceva da sola 9 milioni di tonnellate di acciaio l'anno, oggi siamo quasi a zero con un obiettivo - una volta risanata - di 6 milioni. Al tempo della gestione Riva, il gruppo ne produceva oltre 17 milioni. Ora, tutto dovrà ripartire da zero. A chi si dovrà imputare questi 12 anni di disastri continui? Il processo d'appello andrà a Potenza. Di fatto, è stata quindi accolta la richiesta della difesa della famiglia Riva secondo la quale i giudici di primo grado, residenti a Taranto, non avrebbero avuto la serenità necessaria per pronunciarsi.

In primo grado furono 26 le condanne nei confronti di dirigenti della fabbrica, manager e politici, per circa 270 anni di carcere. La Corte d'Assise stabilì sia la confisca degli impianti dell'area a caldo che la confisca per equivalente dell'illecito profitto nei confronti delle tre società Ilva spa, Riva Fire e Riva Forni Elettrici, per una somma di 2,1 miliardi.

A determinare la clamorosa svolta è stato il collegio presieduto dal giudice Antonio Del Coco che, affiancato dal collega Ugo Bassi e dalla giuria popolare, si è limitato a comunicare solo il dispositivo dell'ordinanza, mentre le motivazioni saranno depositate entro 15 giorni.

Un aspetto importante per capire se l'annullamento è legato «solo» a una questione di territorialità del processo o se vi siano altre motivazioni più sostanziali sulle supposte responsabilità della famiglia Riva che si vide espropriata della fabbrica. Intanto, entro venerdì 20 i commissari aspettano le manifestazioni d'interesse per l'ex Ilva, ex di nome ma anche di fatto, visto che dell'Ilva oggi a processo è rimasto davvero ben poco.

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