Ricollocamento è un termine che riecheggia spesso al Viminale da quando il ministero è guidato da Luciana Lamorgese. È stato il primo argomento che il nuovo esecutivo di Giuseppe Conte ha provato a spendere sul fronte immigrazione quando, nello scorso mese di settembre, i nuovi ministri hanno giurato al Quirinale.
Il Conte II si presentava come “figliol prodigo” dell’Europa, così la Germania soprattutto ha provato a venire incontro alle principali esigenze del nuovo governo, a partire proprio dalle esigenze relative al fenomeno migratorio. Ed è in questo contesto che si è iniziato a parlare in modo continuativo di ricollocamenti. Da Berlino è partita un’iniziativa diplomatica che il 23 settembre 2019 ha già portato al cosiddetto “vertice di Malta”, in cui all’ordine del giorno vi era per l’appunto il tema dei ricollocamenti dei migranti nel resto d’Europa.
A quell’incontro hanno partecipato i ministri dell’interno di Malta, Italia, Germania, Francia e Grecia, oltre che il rappresentante finlandese in qualità di presidente di turno dell’Ue. Al termine delle foto di rito con sullo sfondo il porto storico di La Valletta, tutti hanno parlato di momento storico e di svolta importante. Ovviamente la mossa tedesca ha potuto far dichiarare ai rappresentanti del nuovo governo italiano che quella svolta si è potuta verificare soltanto perché, dopo un anno e mezzo di governo Lega – M5S, Roma adesso era più credibile.
Nei fatti però non era cambiato nulla: a Malta si è firmato un documento non vincolante e che ha semplicemente impegnato i ministri presenti sull’isola a proporre ai colleghi del resto d’Europa un nuovo meccanismo di ricollocamento obbligatorio dei migranti. Nessuna svolta si è verificata a Malta e nessuna, in seguito, in sede comunitaria. Infatti, nella riunione dei ministri Ue del mese successivo in pochi hanno aderito.
Eppure per mesi da Roma si è detto che l’accordo di Malta ha reso più gestibile i flussi migratori per il nostro Paese. Circostanza errata, perché i ricollocamenti sono stati possibili grazie agli stessi meccanismi già usati negli anni precedenti. E perché, soprattutto, nessuno ha messo in discussione a livello europeo il principio cardine della carta di Dublino, ossia che l’onere dell’accoglienza spetta soltanto ai Paesi di primo approdo.
E che a Malta nello scorso settembre non è cambiato nulla ben lo si può evincere anche da “non paper” illustrato in questo venerdì dal ministro dell’interno Lamorgese. Si tratta di un documento con il quale l’Italia, assieme a Grecia, Cipro, Spagna e Malta chiede alla commissione europea una riforma della carta di Dublino.
In particolare, così come si legge dal testo presentato dal titolare del Viminale, la proposta è quella di un meccanismo che “superi il criterio della responsabilità del paese di primo ingresso e preveda un meccanismo di ricollocamenti obbligatori”. È stata cioè fatta la stessa richiesta già esposta durante quel famoso vertice di Malta del 23 settembre 2019. Con il riferimento al termine ricollocamento nuovamente tornato di attualità.
“I migranti che sbarcano sul territorio di uno Stato membro – si legge ancora nel testo odierno – come risultato di un’operazione di ricerca e soccorso non può essere considerato allo stesso modo di altri ingressi irregolari. In caso di pressione migratoria sproporzionata alla frontiera mediterranea di uno Stato membro, un porto sicuro alternativo dovrebbe essere proposto”.
L’intento sarebbe dunque quello di superare il principio base di Dublino, obiettivo questo da sempre inseguito soprattutto dagli Stati del sud Europa, per ovvie ragioni geografiche i più esposti al fenomeno migratorio legato alle rotte del Mediterraneo. Un obiettivo inseguito da anni per la verità, ma mai raggiunto.
Nel non paper presentato dalla Lamorgese, il ricollocamento dovrebbe prevedere “un meccanismo prevedibile obbligatorio e automatico” destinato ad attribuire “la responsabilità per i richiedenti asilo sulla base di una distribuzione pro-quota per ciascuno Stato membro”. Quote che, secondo i ministri dell’interno dei Paesi mediterranei dell’Ue, dovrebbero “essere definite attraverso un sistema centralizzato a livello europeo”.
Ma proprio sul fronte comunitario, questa proposta ha trovato già non pochi detrattori. In particolare, ad un blocco costituito dai Paesi del Mediterraneo, sembra essersi subito contrapposto un altro gruppo che ha nei governi del patto di Visegrad la base principale. Ed infatti i ministri dell’interno di Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia, Paesi per l’appunto membri di Visegrad, hanno scritto una lettera al vice presidente della Commissione Europea, Margaritis Schinas, in cui si sono detti in disaccordo sulla proposta di un qualsivoglia ricollocamento automatico.
La lettera, che è stata firmata anche dai rappresentanti di Slovenia, Estonia e Lettonia, è stata resa nota dal ministero dell’interno polacco, vede nei ricollocamenti obbligatori una modalità ritenuta non ottimale per affrontare il problema migratorio: “Vi sono forti obiezioni alla ricollocazione obbligatoria in qualsiasi forma – fanno sapere dal ministero dell’interno polacco ai media nazionali di Varsavia – al rafforzamento delle frontiere esterne dell'Ue e all'elaborazione di soluzioni in caso di situazione di crisi che consentano una reazione elastica”.
Quella che si profila
all’orizzonte dunque, è una querelle tra i due blocchi: da un lato i Paesi del Mediterraneo, dall’altra quelli di Visegrad e del nord Europa. In mezzo, la quasi certezza che al momento il regolamento di Dublino non verrà modificato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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