Immunità e legge Severino, È il momento di intervenire

Le tutele per gli eletti

Immunità e legge Severino, È il momento di intervenire
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La sfida politica contro il giustizialismo e il ristabilimento dell'equilibrio dei poteri con l'apparato giudiziario esigono scelte coraggiose, di alto valore simbolico e dense di risvolti pratici. Il primato della sovranità popolare, in uno con la tutela dei suoi eletti, sono la posta in gioco. Quali garanzie per i parlamentari? Quali per gli amministratori locali?

Sulla maggioranza di governo incombe la necessità di ripristinare l'immunità parlamentare, resuscitando talune prerogative. La classe politica si piegò - con spirito dissennato - all'ondata giustizialista di Mani pulite rinunciando alle proprie, storiche guarentigie. Nel 1993 la Costituzione (articolo 68) viene modificata, si riducono drasticamente le tutele dei rappresentanti del popolo nei confronti di azioni arbitrarie del potere giudiziario che, in quanto mero corpo burocratico, non è certo espressione dell'elettorato.

La Costituzione prevedeva, prima del suo stravolgimento, che nessun membro del parlamento - e quindi anche ministri e sottosegretari (in quanto eletti) - potesse essere sottoposto a procedimento penale, privato della libertà personale o perquisito (salvo si trattasse di delitti da arresto in flagranza) senza autorizzazione della Camera di appartenenza; il semaforo verde era altresì necessario per arrestare un parlamentare in esecuzione di una sentenza anche irrevocabile. In sostanza, era il parlamento a stabilire se le richieste della magistratura contro i suoi componenti potessero tradire l'intenzione di nuocere all'interessato e, in caso si palesassero indizi circa l'esistenza di un fumus persecutionis, negare l'autorizzazione in parola.

Lo scudo dell'immunità scattava - come vollero i padri costituenti del 1947 - per proteggere non un privilegio individuale o di casta, bensì l'assemblea elettiva da improprie interferenze del potere giudiziario. Fosse rimasta intatta quella norma costituzionale, non avremmo assistito allo scempio di taluni processi penali promossi contro un parlamentare per azioni che aveva intrapreso - nell'esercizio del suo ruolo istituzionale di ministro dell'Interno - per contrastare l'assalto immigratorio; atti che traducevano una precisa linea politica del governo, sostenuto dalla maggioranza parlamentare dell'epoca e, va ribadito con forza, dai cittadini che quell'assemblea avevano votato.

Veniamo alla posizione degli amministratori locali: dai presidenti delle regioni, ai componenti delle giunte e dei consigli regionali fino ai sindaci, vi è una platea di rappresentanti del popolo che non deve, né potrebbe, essere rovesciata a seguito di iniziative giudiziarie come invece oggi accade. Anche in questo caso, si ritorni alla vecchia (e saggia) via del passato; si abroghino cioè quelle disposizioni della «legge Severino» che comportano la sospensione e la decadenza dei pubblici amministratori condannati in via non definitiva.

La presunzione di non colpevolezza va applicata in tutta la sua portata di garanzia anche nei confronti delle cariche elettive locali: devono poter restare in sella fintanto che l'eventuale processo penale aperto nei loro riguardi abbia accertato in via definitiva la loro colpevolezza.

Altre soluzioni tecniche, quali l'invocato scudo che - stando alle poche notizie disponibili - dovrebbe erigersi nella fase finale del mandato elettivo, paiono difficilmente configurabili alla luce dell'esigenza di precisarne sia i presupposti, sia l'esatto momento di decorrenza delle misure a tutela dell'imputato.

*Ordinario di Procedura penale all'Università di Brescia

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