Tre giorni dopo avere annunciato la sua ricandidatura al vertice del calcio italiano, Gabriele Gravina si vede recapitare ieri l'atto giudiziario che rischia di condizionare la sua conferma alla presidenza della Figc. La procura della Repubblica di Roma annuncia a Gravina che sono state concluse le indagini a suo carico per la vicenda che lo vede da mesi sotto tiro, i soldi ricevuti nel 2018 dall'azienda di Marco Bogarelli, il principale broker di diritti televisivi. Gravina era all'epoca presidente della Lega Pro, che a differenza della Fgci non è una azienda pubblica, e quindi quei soldi non sono illeciti. Ma lo è, secondo la Procura di Roma, l'operazione di autoriciclaggio che Gravina compie per nascondere la provenienza dei 250mila euro di Bogarelli, utilizzandoli per comprare una casa milanese alla figlia della sua compagna, Lorenza Tella. Nella versione di Gravina, i soldi non erano la contropartita per l'appalto a Bogarelli dei diritti della Lega Pro ma la caparra per l'acquisto di un lotto di libri antichi, poi naufragato. L'indagine su Gravina ha avuto un percorso tortuoso, perché in parte nasce dagli accertamenti che sul presidente della Figc (e su molti altri protagonisti dell'affare) compie il tenente della Guardia di finanza Pasquale Striano. Quando indagando su Striano la procura di Perugia si imbatte nel «caso Gravina» trasmette tutto a Roma. Quando si scopre che il suo nome è nel registro degli indagati Gravina reagisce affermando che l'inchiesta nasce da una sua autodenuncia «per potere fare chiarezza». Ma ora la Procura di Roma decide che chiarezza non è stata fatta, e si prepara a chiedere il rinvio a giudizio.
Tra gli atti alla base della decisione, un appunto - reso noto dal Giornale nel maggio scorso - in cui Bogarelli e Gravina sembravano mettersi d'accordo per la restituzione della «caparra». «Il presidente è totalmente estraneo a qualsivoglia condotta illecita» dicono i legali di Gravina.
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