Usare le inchieste della Procura per ribaltare l'esito di decisioni già prese, non solo dal Comune ma anche dalla giustizia. É questa la tentazione che si sta diffondendo a Milano, e che incombe sulla stagione di indagini con cui i pubblici ministeri stanno mettendo sotto accusa l'intera gestione dell'Urbanistica da parte del Comune. Comitati di cittadini in lotta contro i presunti abusi mandano i loroesposti alla Procura della Repubblica e ottengono quasi sempre il loro risultato: le inchieste vengono aperte, anche se si tratta di pratiche edilizie già ritenute regolari dal Tar analizzando esattamente le stesse norme urbanistiche oggetto ora della denuncia in sede penale.Il caso più vistoso di questa tendenza a cavalcare le iniziative della Procura riguarda uno degli interventi più centrali e prestigiosi finiti nel mirino dei pm: via Anfiteatro, tra Brera e il Parco Sempione, dove una volta c'era un edificio comunale demolito perchè rischiava di crollare. Il Comune ha venduto l'area per fare cassa, e l'impresa che se l'è aggiudicata ha varato il suo progetto: otto piani più attico, prezzi al metro quadro stellari, e d'altronde siamo in una delle zone più costose di Milano. Insurrezione degli abitanti vicini: in buona parte milanesi vip, avvocati di grido, primari, eccetera, che lamentavano la violazione del piano regolatore, il «consumo di suolo», la scomparsa dell'area verde che secondo loro doveva sorgere nell'area del vecchio stabile demolito. Parte il ricorso al Tribunale amministrativo regionale che però viene respinto in blocco. I vip di via Anfiteatro secondo i giudici hanno accampato «un preteso diritto al panorama» su un area che non era affatto un «lotto libero»: «è pacifico infatti che l'area fosse occupata da un immobile sino al 2007, demolito nella sola parte fuori terra perché pericolante». Il Tar sancisce «l'impossibilità di realizzare un'area verde pubblica sul terreno in questione, poiché di proprietà privata». E soprattutto stabilisce che è stato legittimo avviare i lavori con una semplice Scia, una segnalazione di avviso di attività, anzichè attendere il permesso di costruire: perchè i volumi complessivi, anche se con una forma diversa, non saranno maggiori del palazzo abbattuto. «Non è in contestazione - aggiunge il Tar - che il progetto rispetti le distanze minime inderogabili e le altezze massime prescritte dalla legge e dal Pgt del Comune di Milano». É un passaggio importante, perchè proprio l'utilizzo delle Scia anzichè delle licenze edilizie è al centro delle inchieste della Procura, che considera le segnalazioni una scorciatoia inaccettabile.
Almeno nel caso di via Anfiteatro il Tar ha invece deciso (e la sentenza è stata confermata dal Consiglio di Stato) che la Scia era sufficiente. Ma i contestatori non si sono arresi. Quando hanno appreso dai giornali che la Procura stava iniziando a incriminare costruttori e funzionari comunali per altre lottizzazioni, hanno fatto partire la denuncia. Subito archiviata, visto che della stessa vicenda si era già occupato il Tar? Pare di no. Non sono partiti finora avvisi di garanzia, ma agli avvocati della società costruttrice - che sono andati in Procura a chiedere lumi sulla situazione - è stato detto chiaramente che anche via Anfiteatro fa parte dei casi su cui il terzetto di pm (Marina Petruzzella, Paolo Filippini e Mauro Clerici) coordinati dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano sta scavando. Quanti siano esattamente, questi casi, non si sa: gli interventi edilizi su cui le indagini sono uscite allo scoperto sono una decina, recentemente Repubblica calcolava in almeno sessanta i fascicoli già aperti: d'altronde, come spiegava uno degli inquirenti, «di casi simili a Milano ce ne sono centinaia». Certo, in diversi cantieri l'esplosione delle volumetrie è innegabile, e che anche in quei casi sia stato possibile procedere senza un permesso di costruire è più discutibile.
Ma in molti altri interventi dove si è utilizzata la Scia la situazione non sembra dissimile dal cantiere di via Anfiteatro. Se dovessero partire le incriminazioni, i pm dovrebbero dire che a sbagliare non sono stati anche i giudici del Tar.
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