"L’Ucraina va verso un decennio di tensioni"

Il direttore dell’Alta Scuola della Cattolica: "Kiev come la Palestina del 1967"

"L’Ucraina va verso un decennio di tensioni"

Lo scenario non è dei più rassicuranti: «Vedo alcune analogie con la Palestina del 1967», spiega il professor Vittorio Emanuele Parsi, direttore di Aseri, l'Alta scuola di economia e relazioni internazionali dell'Università Cattolica.

La Palestina della guerra dei Sei giorni.

«Esatto. Dopo un conflitto rapidissimo, molto più veloce di quello in corso oggi fra Russia e Ucraina, Israele occupò la Cisgiordania e Gerusalemme Est, il Golan, Gaza e il Sinai, tolto all'Egitto».

Qui si combatte a Mariupol. Professor Parsi, perché paragona due situazioni così lontane nel tempo?

«Israele vinse schiacciando gli Arabi, conquistò quelle terre, impose le sue condizioni. Quelli erano e in parte sono ancora oggi i Territori occupati».

Qualcosa di simile accadrà in Ucraina?

«I russi puntano ad aprirsi un corridoio fra il Donbass e la Crimea. Di fatto il Mar d'Azov potrebbe diventare un mare chiuso, tutto russo».

Addio sogni di gloria e arrivo dei soldati di Putin a Kiev?

«Mi pare che quell'obiettivo sia sfumato. Non so se ci sia un piano b, ma il regime putiniano è costretto a rivedere e ridimensionare le proprie ambizioni, come tutti gli analisti hanno sottolineato nelle ultime ore».

La pace potrebbe fotografare questa realtà?

«No, nessuna pace. Un armistizio, un cessate il fuoco, la fine della carneficina, ma anche l'inizio di un'altra storia, tutta un susseguirsi di tensioni, possibili fiammate, inquietudine».

Come nei «territori occupati» in Medio Oriente?

«Appunto. Oggi come allora, la Russia imporrebbe la sua forza, sia pure su scala ridotta. Qui, se si dovesse andare in questa direzione, mi sembra difficile che l'Ucraina possa ragionare e cedere all'invasore sulla propria neutralità. Sarebbe costretta ad accettare queste amputazioni del proprio Paese, nulla di più».

E poi?

«Poi non possiamo fare previsioni. Questa prospettiva ci accompagnerà forse per i prossimi dieci anni. O anche più. Il Sinai è stato restituito all'Egitto, Gerusalemme è ancora contesa».

Si è sparsa la voce che la guerra si concluderà il 9 maggio, anniversario della fine della Seconda guerra mondiale.

«Il 9 maggio mi pare lontano, molto lontano. Con il disastroso apparato logistico di cui dispongono, i russi hanno il fiato corto e direi che le ostilità potrebbero terminare prima. Certo, in un modo o nell'altro, Mosca cercherà di sbandierare un qualche successo e la logica porta a Mariupol e al Mar d'Azov. Altrove le armate del Cremlino stanno collezionando, almeno finora, solo insuccessi».

Ci vuole una nuova Yalta, come suggerisce Massimo Cacciari, fra Washington, Mosca e Pechino?

«Non so. So che la Russia è uno stato canaglia e come tale va trattato».

Nessun compromesso?

«Nessuno. Anzi, avanti con le sanzioni e con la riduzione dei rapporti economici. Dobbiamo ridurre al minimo le relazioni con un Paese che ha calpestato in un modo così clamoroso il diritto internazionale, già violato in Crimea otto anni fa, e dobbiamo cercare alternative per il carbone, il gas e il petrolio. Non dobbiamo più dipendere da Mosca».

Ma Putin cadrà?

«Non è la domanda centrale. La Russia ha sfasciato l'ordine internazionale e va tenuta ai margini. Oggi, ma anche domani, quando i missili e le bombe non raggiungeranno più le città dell'Ucraina».

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