Reggio Calabria - La pasionaria dell'antimafia accusata di aver intascato i fondi antimafia. Adriana Musella è indagata. Il reato ipotizzato: appropriazione indebita. Ad essere stati utilizzati in maniera arbitraria, sospetta la Procura di Reggio Calabria, i finanziamenti o almeno parte di essi annualmente erogati da enti vari, in primis la Regione, per promuovere percorsi di legalità e contrasto alla ndrangheta. Un addebito che getta un'ombra sulla coordinatrice dell'associazione «Riferimenti», nata come antidoto alle ndrine e con buone entrature in quel pezzo di mondo dichiaratamente in trincea sul fronte dell'antimafia. Rosy Bindi, ad esempio. O anche Pietro Grasso. Ieri magistrato di primo piano, oggi presidente del Senato. In una veste e nell'altra sempre presente alle iniziative dell'associazione reggina. Sul sito internet di «Riferimenti» campeggia già l'annuncio del prossimo impegno: «Lunedì 6 maggio a Reggio Calabria ventiquattresima edizione della Gerbera Gialla, alla presenza del presidente del Senato Pietro Grasso». A Facebook, invece, la Musella ha consegnato il suo commento alle indiscrezioni filtrate da Palazzo di Giustizia: «È in atto un'indagine a mio carico. Non mi sorprende, avendo sollecitato io stessa l'accertamento della verità. La mia coscienza è tranquilla e continuerò a lavorare come ho sempre fatto. Spero di poter superare questa ulteriore prova che la vita mi riserva».
Per riuscirci, dovrà smontare le contestazioni racchiuse nell'informativa redatta dalla Guardia di Finanza a seguito dell'inchiesta in quell'occasione giornalistica - portata avanti nel 2016 dal Corriere della Calabria. In una serie di articoli, numeri e circostanze ora da chiarire. Come la vicenda dei lavori finiti ai familiari. «Mio figlio ha prestato attività in favore dell'associazione. In alcuni progetti ha lavorato anche l'altro mio figlio e non me ne vergogno per niente», ha già risposto tempo fa la Musella a mezzo stampa, lamentando un'attenzione qualificata come «pesante attività di delegittimazione», eppure ritenuta di interesse investigativo.
Sotto i riflettori della Procura, i soldi entrati nelle casse di «Riferimenti» tra il 2011 e il 2014: all'incirca 200mila euro l'anno, tutti di provenienza pubblica. Usati per cosa? Progetti di sensibilizzazione e convegni, ma pure per pagare taxi, alberghi e ristoranti, un conto di 2.
000 euro all'Ikea di Milano ed un altro di 141 da Zara, a Roma. E poi targhe, servizi fotografici, servizi audio e video, multe e bolli auto, ma non le bollette di luce e telefoni: quelle le pagava direttamente la Regione. Per non sottrarre risorse alla lotta alla ndrangheta.
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