È stata una caduta in moto, lo scorso 27 luglio, a rendere, suo malgrado, Elia Natoli, 30enne gestore di un centro di simulazione di rally a San Piero Patti, una popolare «vittima» della malasanità siciliana.
La foto della sua gamba immobilizzata col cartone ha fatto il giro dei social e non solo. É intervenuto il presidente della Regione Renato Schifani, la responsabile facente funzione del pronto soccorso dell'ospedale di Patti è stata sollevata dall'incarico, l'Asp di Messina ha incaricato una commissione ispettiva di fare le verifiche su quanto accaduto.
Ci racconta com'è andata?
«Sabato scorso sono caduto quasi da fermo con la mia moto, ma ho capito quasi subito di essermi fatto male. Mio padre mi ha accompagnato al punto territoriale di emergenza di San Piero Patti, nel mio comune, ma ben presto i sanitari si sono resi conto che quasi sicuramente c'era una frattura, e mi hanno invitato ad andare all'ospedale di Patti, a una mezzora di macchina».
E lì ha dovuto attendere molto prima di essere visitato?
«Dopo il triage, in cui mi hanno assegnato il codice verde, io e mio padre che mi accompagnava siamo stati ad aspettare diverse ore. Siamo arrivati alle 18,30 circa per poi fare le prime radiografie a mezzanotte e mezza. A quell'ora ho fatto anche le prime medicazioni, perché avevo anche diverse ferite. Quando siamo tornati a casa erano le 3 e mezza».
Cosa è successo nel frattempo?
«Purtroppo quella sera in ospedale sono arrivati ben tre pazienti in codice rosso. In pronto soccorso i sanitari scarseggiavano: c'erano solo due medici e due infermiere, che hanno davvero fatto il possibile. Erano stremati. Io e mio papà non potevamo fare altro che attendere il nostro turno. Quando una delle dottoresse, a tarda notte, si è accorta della mia situazione, mi ha mandato subito a fare le radiografie: avevo il perone rotto, con una frattura composta».
Come è venuto in mente alla dottoressa di usare il cartone e la garza per fare la stecca?
«Sia la dottoressa che l'infermiera sono andate a cercare i materiali che occorrevano per tutto l'ospedale, ma non c'era nulla di adatto per fasciare il piede e tenerlo fermo, anche nella farmacia avevano finito il gesso. Mi ha detto che non poteva mandarmi a casa in queste condizioni, senza immobilizzare la caviglia. Si è scusata tantissimo, mi ha detto 'non posso farti uscire così' e si è inventata questo metodo alla McGiver con la prima cosa che ha trovato a disposizione, cioè il cartone. Ha cercato di fare del suo meglio. Non aveva altre risorse da usare, nessuno poteva fare altro».
Il giorno dopo suo papà ha scritto un post su Facebook che ha fatto il giro dei social.
«Sì, eravamo tutti scandalizzati e affranti di questa situazione, per questo l'abbiamo resa pubblica, non è possibile che dei cittadini vengano trattati così. Mio papà si è voluto rivolgere al presidente della Regione, ma anche ai sindaci del comprensorio, precisando che i medici non hanno nessuna colpa di ciò. Mi ha anche telefonato Schifani, porgendomi le sue scuse per la situazione».
Questa odissea com'è andata a finire?
«Lunedì siamo andati a Messina, ci siamo dovuti rivolgere a una struttura privata, dove abbiamo pagato tutto.
Alla fine mi hanno immobilizzato con tutor e calze ortopediche, che sono un'alternativa al gesso. Mi hanno anche programmato delle visite private che dovrò fare nelle prossime settimane. Ne avrò per altri 35-40 giorni almeno».
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