Botte da orbi a Parigi tra un parlamentare di République en Marche, il partito del presidente Emmanuel Macron, e il segretario della federazione socialista dei francesi all'estero. Una lite da marciapiede, cominciata come cominciano tutte le liti. Due insulti, tre spintoni, una manata. Finché uno dei due, che ora è all'ospedale in coma, colpito due volte al cranio con un casco da motociclista, non trova di meglio che insultare il suo avversario, che è di origine araba, dandogli del «sale melon»: sporco melone, letteralmente: l'epiteto vagamente ma mica tanto razzista con cui i francesi si rivolgono ai maghrebini, quando vogliono offenderli a morte.
Protagonisti della rissa sono Boris Faure, segretario della federazione socialista dei francesi d'oltremare, e il deputato macronista Majid El Guerrab. «Mi ha aggredito e insultato», si è difeso quest'ultimo all'arrivo dell'ambulanza e degli agenti chiamati dai testimoni del movimentato episodio che ha avuto per fondale uno dei salotti buoni della capitale francese, quello del quinto arrondissement. I motivi del violento litigio al momento non sono noti. Sta di fatto che Boris Faure, operato d'urgenza e ricoverato in terapia intensiva con prognosi riservata, è più di là che di qua. Mentre El Guerrab («Non volevo. Ma quando ha cominciato a insultarmi non ci ho visto più. Avevo il casco in mano e l'ho colpito con quello»); El Guerrab, si diceva, è a disposizione dell'autorità giudiziaria.
Gli dispiace, si scusa, naturalmente, ma quel che è fatto non è più riparabile neanche politicamente, stando alla violenta reazione del partito di Macron, che ha scaricato il suo deputato boxeur, e dei socialisti. «Nessun comportamento può giustificare atti di violenza», hanno detto i rappresentanti dei partiti (salvo ammettere privatamente, si sussurra a Parigi, che un paio di sonori schiaffoni sono sempre a disposizione per le facce di chi insulta un avversario attingendo a un frasario più o meno scopertamente razzista).
Mala tempora currunt, commentano ghignando i nemici di Macron che gongolano vedendo nell'episodio un altro «segno» del destino avverso a quello che ora viene deriso come il «bel presidente», scattante e grifagno, più che volitivo, quanto Hollande era tracagnotto e occhialuto, epperò entrambi accomunati da una cupa vocazione all'inconcludenza. E ora che veleggia al di sotto del 40% di gradimento (peggio di lui solo il presidente Trump) Macron se la deve vedere anche con un deputato probabilmente «en Marche» verso il carcere.
Insomma, altri pezzi del mosaico macroniano che mancano all'appello. La lunga estate calda del governo di Macron, guidato dal premier Edouard Philippe, era cominciata con le dimissioni del ministro della Giustizia e leader centrista Francois Bayrou e della ministra degli Affari europei, Marielle de Sarnez. Ai quali si era tosto aggiunta la ministra della Difesa, Sylvie Goulard. Tutti e tre i ministri dimissionari fanno parte del movimento centrista MoDem, alleato del partito di Macron. Il primo a lasciare la compagine di governo era stato Richard Ferrand, ormai ex ministro della Coesione territoriale dopo un duro vis-à-vis di un'ora con Macron.
Ora siamo ai cazzotti per strada e alle risse da saloon.
Speriamo che arrivi presto l'autunno, pare che abbia confidato il presidente Macron a uno del suo entourage. «Il caldo ha dato alla testa a molti. Speriamo che l'anticiclone atlantico riprenda a fare presto il suo dovere».
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