Il secondo round non si combatte più tirando jab di natura politica. Come Rocky e Apollo Creed che un tempo se le suonavano, e infine la storia cinematografica li porta a una vincente collaborazione, Italia e Francia sono oggi fianco a fianco per dare «giustizia» alle vittime del terrorismo «rosso» degli Anni di Piombo. Per settimane, governi e sherpa hanno lavorato per l'estradizione di 10 italiani la cui pena era vicina alla prescrizione. Emmanuel Macron ha «ordinato» blitz parigini all'alba: acciuffati 7 dei ricercati; altri 2, irreperibili, si sono presentati spontaneamente 24 ore dopo, ottenendo, tutti, vari gradi di libertà vigilata. Ora il governo italiano è in una «vigile attesa» che potrebbe riservare più d'una sorpresa. Perché la Francia ha una lunga tradizione di intrighi, e intrecci vari che negli anni hanno permesso agli ex terroristi di rifarsi una vita, senza che nessuno (o quasi) andasse a chieder loro conto di condanne e sentenze passate in giudicato.
Soprattutto, manca ancora all'appello Maurizio Di Marzio, tra i più giovani del gruppo da estradare, tuttora latitante. A 63 anni, è forse l'unico a cui conveniva non farsi trovare (fu arrestato una prima volta nel '94); tanto meno costituirsi, e affrontare un percorso giudiziario che punta a riportarlo in Italia dove deve scontare 5 anni residui per tentato sequestro. Ha «solo» 9 giorni per consegnarsi. Poi non sarà più perseguibile: la prescrizione scatterà il 10 maggio. Senza l'arresto, la sua non si è infatti «congelata» come le altre. In una «stretta cooperazione» Roma-Parigi, si cerca dunque l'unico «irreperibile», con l'antiterrorismo in prima fila: non in banlieue ma nel «Triangolo d'Oro» della Ville Lumière, tra Champs Elysées e avenue George V. La rete ideologica di appoggi - ancora efficiente nonostante il pronunciamento di Macron in rottura col passato - snobba la periferia e opera nei palazzi. Con occhi e orecchie un po' ovunque, anche nei tribunali: Luigi Bergamin e Raffaele Ventura si sono consegnati solo dopo aver annusato aria di libertà vigilata. E Di Marzio, per cui tirava un vento diverso, è sparito con ancora in tasca i documenti. Superato l'ostacolo che era (ed è sempre stato) tutto «politico», legato a una «dottrina Mitterrand» applicata all'uopo da presidenti socialisti e pure di destra (Sarkozy negò l'estradizione della Petrella annettendo ragioni di salute che erano piuttosto «di famiglia»), per i 9 la battaglia si gioca ora in un'arena «mista», quella giudiziaria. Accusa e difesa. Ministri ed Eliseo non possono intervenire, non alla Camera dell'Istruzione della Corte d'appello di Parigi che in un mese «valuterà» in autonomia e indipendenza entità e motivazioni delle condanne in Italia.
Grazie al pressing del premier Draghi e dalla Guardasigilli Cartabia, le estradizioni sono riemerse dal sottobosco, ma tocca vedere con quanta arbitrarietà i francesi leggeranno le carte italiane. Possono chiedere un supplemento d'indagine su ogni pratica. E, se pure diranno «Sì» (caso per caso), i super-legali dei terroristi possono far ricorso e allungare i tempi fino a 3 anni; oltre a parlare di «tradimento della Francia», come già hanno cominciato a fare cercando di orientare la decisione. Mercoledì a Parigi si aprirà dunque un incontro di boxe: giustizia Vs ideologia. Tra timori di politicizzazione (anche) delle toghe e tempi dilatati che potrebbero portare qualche «Ombra rossa» a lasciare il Paese clandestinamente al primo sentore amaro (come fece Cesare Battisti). Dalla Parigi di governo, c'è l'impegno a firmare le estradizioni: ma solo quando (e se) arriverà l'ok delle toghe transalpine. Una maratona giudiziaria. Mille variabili in mezzo. Roma incrocia le dita.
I magistrati di collegamento hanno già provveduto a «spiegare» i singoli casi, tradotto tutti i fascicoli delle sentenze di ciascuno, istruendo la pratica al meglio. Dando, però, supporto «tecnico» dall'esterno. Purtroppo, senza funzione propulsiva. Non salgono cioè sul ring francese. Non possono: neppure suonare a campana.
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