"Io capo dello Stato? In tanti mi sono amici ma è tutto da vedere"

Berlusconi nel libro di Vespa: "Servirebbe una donna protagonista ma non si è manifestata"

"Io capo dello Stato? In tanti mi sono amici ma è tutto da vedere"

L'attivismo di Silvio Berlusconi spiazza il quadro politico, soprattutto chi lo voleva relegato al ruolo di padre nobile di Forza Italia e del centrodestra. Invece, il Cavaliere si impone sulla scena nazionale e internazionale e anche l'eventualità di una scalata al Quirinale non appare così astratta. Si contano i voti più che avanzare pregiudiziali e Pd come M5S cominciano ad agitarsi seriamente. Ma tutto gira attorno alla decisione di Mario Draghi sul possibile trasloco da Palazzo Chigi al Colle.

Della successione a Sergio Mattarella il leader azzurro parla con Bruno Vespa in una conversazione ad Arcore per il libro «Perché Mussolini rovinò l'Italia (e come Draghi la sta risanando)» di Mondadori Rai Libri, che esce domani. «Mi hanno proposto di essere il candidato del centrodestra - dice - , ma mi sembra inopportuno parlare del Quirinale quando è ancora in carica l'attuale presidente della Repubblica. Peraltro, non sarebbe un'elezione facile, perché il centrodestra non avrebbe da solo i voti necessari». Ma, aggiunge riferendosi alle sue concrete possibilità di arrivare sul Colle, «ci sono 290 deputati e senatori usciti dai gruppi parlamentari originari. In tanti mi sono amici, ma, ripeto, è ancora tutto da vedere».

Vespa gli chiede come vede la possibilità di una successione femminile a Mattarella e lui: «Servirebbe l'immagine di una donna protagonista del mondo politico, sociale, culturale, economico. Ma non mi pare che si sia ancora manifestata». Dopo la rinuncia della senatrice a vita Liliana Segre, il nome che più circola è quello della ministra della Giustizia, Marta Cartabia, ma ce ne sono anche altri, il Cav però non sembra prendere in considerazione l'ipotesi. In questo momento, evidentemente, se il premier volesse continuare il suo lavoro, Berlusconi si vede concretamente come campione del centrodestra.

Nel capitolo XII del libro, dedicato al leader di Fi, c'è molto di più e il Giornale può anticipare i brani più interessanti. Su Draghi, che conosce «bene», solo lodi per sue qualità e capacità. Berlusconi ricorda che il suo governo lo designò alla guida della Banca d'Italia e una sua «iniziativa lo portò alla guida della Banca centrale europea». Soprattutto, il Cav sottolinea di averlo «fortemente voluto» e promosso per la guida del governo (anche se la scelta dei ministri non ha seguito i suoi suggerimenti) per fronteggiare la crisi Covid. «Alla fine dell'emergenza - spiega - le elezioni consegneranno il governo a una delle due parti del bipolarismo italiano, quello che è nato nel 1994 con la mia discesa in campo». Ma, sembra di capire, non c'è urgenza delle urne. La coalizione ha bisogno di tempo per arrivare al partito unico del centrodestra, «come quello repubblicano negli Stati Uniti e in Francia, quello conservatore in Gran Bretagna, quello popolare in Germania e in Spagna». Quanto alle difficoltà, per le anime diverse e in parte contraddittorie e per la contrarietà della Meloni, il Cav mostra ottimismo: «Diamo tempo al tempo. Molti dei miei progetti sono stati definiti folli o impossibili e poi invece si sono realizzati. Nell'edilizia, nella televisione, nel calcio e in politica». I deludenti risultati alle amministrative di Fi Berlusconi li attribuisce sopratutto alle sue vicende giudiziarie. «Molta gente - risponde a Vespa - ha creduto a tante accuse infondate dalle quali sono stato assolto. La mia unica condanna per frode fiscale è un assurdo....E sono stato espulso dal Senato con un'illegittima e aberrante applicazione retroattiva della legge Severino. È uno degli stratagemmi giudiziari utilizzati dalla sinistra per far fuori gli avversari politici». Se poi 28 deputati e 11 senatori hanno lasciato Fi, è per «pura convenienza personale, piccoli calcoli di bottega elettorale», per venire rieletti entrando in altri partiti. Ai fuoriusciti che ne hanno fondato uno ricorda che «nessuno di quelli che ci hanno lasciato ha avuto un fortunato prosieguo di carriera». Come Brugnaro, «ottimo sindaco, che si è messo al servizio della politica nazionale, ma non mi pare che finora la sua iniziativa abbia avuto una risposta adeguata». La svolta europeista della Lega il Cav la definisce «ponderata», ma per l'ingresso nel Ppe è «in corso un processo di avvicinamento» non facile. Non tanto per le resistenze nel Carroccio, quanto perché, dice, «dobbiamo convincere molti dirigenti popolari europei che ancora non riconoscono nella Lega l'adesione a quella carta dei valori che riscrissi io stesso nel 2006 in occasione dell'assemblea del Ppe in Italia». Su FdI, quando Vespa gli chiede in relazione all'assalto alla Cgil se vede qualche nostalgia autoritaria, Berlusconi è deciso: «Assolutamente no, altrimenti non potremmo essere alleati. Giorgia Meloni guida una destra democratica, largamente rappresentativa, molto diversa dalle nostre idee, ma perfettamente legittimata a far parte del gioco democratico. Trovo ingiusto sottoporre a continui esami del sangue un partito che ha fatto i conti con il passato da molto tempo».

Il leader azzurro è pronto a tornare nella Capitale per il

nuovo vertice con gli alleati, ancora da fissare, ma ha anche deciso di volare a Rotterdam per il congresso del Ppe del 17-18 novembre e potrebbe andare a Strasburgo per la seduta dell'Europarlamento la prossima settimana.

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