"Io, che vivo tra mille alberi, vi spiego perché non si prendono a calci le piante"

Il caso-gasdotto visto da un "signore del calcio" (Fiorentina e Bologna)

"Io, che vivo tra mille alberi, vi spiego perché non si prendono a calci le piante"

«Non si prendono a calci gli ulivi». Esiste un bosco, a tre chilometri dal campo di battaglia di Melendugno, che è il rifugio di un uomo di 67 anni, alto e fiero come una quercia. Ma non è la quercia la sua pianta preferita. L'uomo si chiama Pantaleo Corvino, è uno dei signori del calcio italiano, da quasi un anno è tornato a Firenze, fa il direttore generale, dopo aver riportato in serie A il Bologna.

Corvino, che idea si è fatto del caso-gasdotto e degli scontri tra gli ulivi che vedono contrapposto polizia e «No Tap»?

«Un'idea precisa: non sono certo favorevole agli scontri, sono stato maresciallo dell'Aeronautica, quando mio padre si ammalò smisi di giocare a calcio e mi arruolai. Dunque rispetto e conosco benissimo il valore di una divisa, il giusto orgoglio e la fatica di chi la indossa ogni giorno. Ma conosco anche l'orgoglio, il valore e la storia del Salento, dei nostri ulivi e delle persone che li difendono. Qui, almeno per me, sta il punto».

Dove?

«Nel capire che il gasdotto va fatto, ma deve passare dove non mette a rischio la vita».

La vita di 210 piante?

«Sì, per me gli ulivi rappresentano la voglia di vivere».

E cosa altro rappresentano?

«Sofferenza, orgoglio, pace, bellezza assoluta, memoria, coraggio. E più di ogni altra cosa, lo ripeto, rappresentano la forza della vita. Certi, molti ulivi, hanno più di mille anni. Pensate quanta voglia di vivere c'è in chi resiste a tutto e tutti, per dieci o dodici secoli. Sanno resistere davanti a tutte le forze della natura, sarebbe una cosa orribile che non potessero resistere davanti alla forza dell'uomo, l'essere più intelligente in natura».

Lei dove ha i suoi ulivi?

«A Vernole, il mio paese, a meno di tre chilometri dal cantiere Tap di Melendugno».

Quanti sono?

«Ormai saranno almeno milleduecento. Alcuni sì, hanno più di mille anni».

Lei ha sempre fatto fare ottimi affari alle società calcistiche con le quali ha lavorato. Sono un business anche i suoi ulivi?

«Scherzate».

No, pensavamo alla produzione dell'olio

«Facciamo finta che sia stata una pessima battuta. Di olio ne facciamo quel poco che basta per la mia famiglia e qualche buon amico».

Allora che ci fa con milleduecento ulivi?

«Sono il mio unico e vero rifugio, ci vado appena posso, quando devo tirare un sospiro di sollievo, anche meglio che andare al mare, un'altra delle mie passioni. Annuso l'aria, li accarezzo, li guardo crescere e invecchiare e penso a quanti meravigliosi doni ci ha regalato il Padreterno».

È così anche per gli abitanti del Salento scesi in piazza per difendere 210 alberi?

«Credo di sì, anzi ne sono sicuro. Non faccio politica, non me ne sono mai occupato. E come ho detto rispetto sempre chi fa il proprio lavoro. Ma queste piante sono come noi, hanno le stesse qualità dei salentini, le loro sofferenze, l'orgoglio, la forza di vivere che abbiamo in questa terra. Anche oggi i giovani salentini guardano questi ulivi secolari e attingono energia. È sempre stato così, per la mia generazione e per quelle che ci hanno preceduto».

Una soluzione si dovrà trovare. La sua proposta?

«Si faccia il gasdotto, ma lo si faccia passare dove è sicuro per tutti, anche per le piante».

Non è così facile.

«Vengano a vederli, se non l'ha ancora fatto vengano pure il Ministro all'Ambiente e il premier. Li guardino bene, facciano delle belle foto, se le portino a casa, in ufficio al ministero.

E riguardandole si accorgeranno che questi ulivi diventeranno subito i loro migliori amici. Li guardino e ci pensino bene: vedrete che troveranno una buona soluzione per tutti. Facciano fare al gasdotto il giro del capo di Leuca, ma salvino questo museo a cielo aperto. Una soluzione si troverà».

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