Voce posata ma decisa. Accento vagamente padovano. Kawtar Barghout, marocchina classe 1991, è arrivata in Italia quando aveva appena due anni e ha preso la cittadinanza italiana «senza bisogno di scorciatoie». È musulmana, ma critica nei confronti di chi si ostina a dire che l'islam non c'entra con gli attacchi terroristici. Da esponente dell'Associazione stop radicalizzazione e da studentessa di Giurisprudenza non fa che ripetere ad amici e conoscenti che lo ius soli è tutt'altro che una «legge di civiltà».
Barghout, lei è marocchina e da due anni cittadina italiana. Eppure è contro lo ius soli. Perché?
«Perché la cittadinanza non va regalata. E poi non averla non è una limitazione, visto che sei equiparato agli italiani in tutto: la tessera sanitaria ce l'hai, il conto corrente puoi aprirlo, a scuola puoi andare. È un non problema. Io sono stata extracomunitaria fino a 24 anni: qui mi avete curato il diabete, mi sono iscritta all'Università, ho studiato, ho viaggiato. Senza alcun disagio».
È per tutti così?
«Mio padre ne è un esempio. Ha ottenuto la cittadinanza a 45 anni ed è in Italia da quando ne aveva 25. Non si è mai sentito escluso o marginalizzato. Il passaporto era l'ultimo dei suoi pensieri. Forse perché era occupato a lavorare anziché pensare a queste scemenze progressiste».
Con la legge attuale è così complicato diventare italiani?
«Per chi è nato qui da una famiglia straniera, a 18 anni basta presentarsi dall'ufficiale di Stato civile e in poco tempo sei italiano. Allora mi chiedo: a che serve regalargliela appena nascono?».
E per chi vive e lavora da noi da molti anni?
«Bisogna fare la domanda autonoma. Io l'ho presentata appena possibile: i miei genitori sono andati in Marocco a prendere i documenti necessari, ho firmato l'istanza, ho atteso i 730 giorni canonici ed eccomi qui: ora sono italiana. Non è stato un trauma».
Alcuni dicono sia una questione di principio: chi nasce in Italia deve essere italiano. Chiamano lo ius soli una legge di civiltà.
«Lo trovo stupido. E non siamo gli unici a negare lo ius soli: ci sono altri Paesi, molto civili, che non danno la cittadinanza come diritto di nascita. E poi bisogna considerare un altro fattore».
Quale?
«La legge attuale tiene conto che l'Italia è in una posizione geografica delicata, meta di immigrazione massiccia e dove esistono molti escamotage per ottenere i documenti. Ricevere un permesso di soggiorno illimitato è facile e di conseguenza con lo ius soli regaleremo il passaporto a tutti quanti. Senza selezionare».
Nella nuova legge è previsto anche una sorta di «ius culturae»: cittadinanza agli under 12 che hanno frequentato almeno 5 anni di scuola.
«Non capisco che senso abbia. La scuola è un dovere: un bambino deve andarci perché fa un favore a se stesso, non allo Stato. E poi qualche anno dietro un banco non può bastare: se uno studia non è detto che abbracci i valori fondanti della Repubblica e i principi costituzionali. Non è automatico».
Quali dovrebbero essere allora i requisiti per ottenerla?
«La moralità, quindi non avere precedenti penali. La continuità abitativa, quindi vivere in Italia per un tempo prolungato. E i requisiti economici, visto che lo Stato deve basarsi sulla capacità contributiva. La nuova legge è un'aberrazione giuridica».
Si dice che bambini e ragazzi senza cittadinanza si sentano discriminati.
«È la più grande stupidaggine mai sentita. Io ho fatto tutte le scuole italiane, dall'asilo alle superiori, e non mi sono mai posta il problema di quale passaporto avessi. Nessuno viene discriminato».
Cosa significa per
lei essere italiana?«Vuol dire condividere dei valori e mostrare orgoglio nazionale. Significa abbracciare la storia del nostro Paese. Ridurre il tutto a una questione burocratica è una cosa di cui mi vergogno».
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