"Io, sopravvissuto all'inferno di Mariupol. Così sono scampato alla deportazione"

Con la moglie e la figlia è riuscito ad evitare il trasferimento in Russia: "Ho temuto quando mi hanno controllato il telefono"

"Io, sopravvissuto all'inferno di Mariupol. Così sono scampato alla deportazione"

«Nessuno ci diceva cosa ci sarebbe successo. Capivamo solo che ci avrebbero portato in Russia. Io, mia figlia di 12 anni e mia moglie, siamo rimasti vivi per miracolo». Parla ora al sicuro da Leopoli, Alexander V., 48 anni, uno dei sopravvissuti dell'inferno di Mariupol.

È riuscito a scampare alla «deportazione» in Russia a cui era già stato destinato dall'esercito di Mosca: caricato con la famiglia su un pullman, portato verso la frontiera, ammassato con altre centinaia di persone in uno dei cosiddetti «campi di filtrazione» russi, è fuggito appena prima di varcare il confine. Sarebbero almeno 500mila, secondo il governo di Kiev, i civili ucraini costretti dall'armata di Putin ad andare in Russia, la maggior parte proprio da Mariupol, la città martire della guerra. Le chiamano «deportazioni», perché nei territori occupati, ai civili sopravvissuti non è stata lasciata alcuna scelta tra la morte e l'evacuazione sugli autobus organizzati dalle truppe russe e diretti a Est. Sono stati questi per molti gli unici corridoi umanitari possibili.

Agli ucraini rimasti intrappolati venivano concessi pochi minuti per uscire da sottoterra ed essere evacuati nella sola direzione russa. Associazioni per i diritti umani e autorità ucraine denunciano violazioni e costrizioni ai danni dei civili. Il presidente Zelensky ha parlato di «cinquemila bambini» trasferiti. Le poche testimonianze che arrivano da chi è riuscito a fuggire dal tragitto obbligato, convergono tutte su quello che accade prima. I civili portati in Russia devono passare da una tappa preliminare: i campi di filtrazione, come venivano chiamati anche quelli allestiti da Mosca durante la guerra in Cecenia, per individuare i combattenti anti russi mescolati tra i civili. «Ci hanno portati da Mariupol a Volodarsk, un villaggio nel Donbass occupato dai russi. Da qui poi tutti venivano trasferiti nelle città russe di Rostov, Taganrog, Kazan», spiega Alexander. Fonti ucraine riferiscono anche di trasferimenti nelle aree più depresse come Samara, Kursk, Tula, Cheboksary. «A Mariupol i russi ci hanno ordinato di raggiungere un punto di raccolta da cui dicevano ci sarebbe stata un'evacuazione. Noi non avevamo avuto contatti col mondo esterno, non sapevamo nulla di cosa stesse accadendo, nulla di evacuazioni o corridoi umanitari. Ci hanno scritto un numero sulla mano. Con un pullman ci hanno portato a Volodarsk, in ex scuola dove era issata la bandiera della federazione russa». Qui veniva fatta una sorta di «filtrazione» preliminare, racconta Alexander: «Eravamo circondati dai militari, ammassati a terra. Nessuno ci diceva cosa ci sarebbe successo. Capivamo solo che dei pullman ci avrebbero portato in Russia. Prima però ci hanno detto che dovevamo passare attraverso un campo di filtrazione a Donetsk». A Volodarsk veniva fatto un passaggio preliminare: «Gli uomini venivano allontanati dalle donne, sottoposti a lunghi interrogatori - ricorda - I russi ti spogliavano e controllavano se avevi per esempio il segno della cinta del mitra, per capire se eri un soldato. Sequestravano i telefoni per analizzarli. Quando l'ho saputo ho avuto paura per la mia vita perché il mio era pieno di elementi contro la Russia - ricorda Alexander - Ho cancellato tutto quello che potevo, ma ho saputo che i russi riuscivano a risalire anche ai dati cancellati.

Le persone a cui trovavano qualcosa venivano portate via. Non era ancora il mio turno quando sono fuggito. A Volodarsk c'erano dei taxi, ho dato tutti i soldi che avevo per portarci via da lì. Siamo usciti in un momento in cui stavano scaricando i viveri per il campo».

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