Eliminazioni mirate, attentati kamikaze, messaggi incrociati a colpi di droni armati. Il Medio Oriente ribolle e il mondo è testimone impaurito di un conflitto armato e insieme ideologico fra l'autoproclamato «asse della resistenza» da una parte l'universo cioè delle fazioni estremiste sciite e sunnite all'opera a Gaza, in Libano, Iran, Siria, Yemen e Irak e Israele, Stati Uniti e i loro alleati internazionali dall'altra. L'escalation, dalla guerra a Gaza alle navi sotto attacco nel Mar Rosso, è già nei fatti e ogni episodio rischia di diventare la goccia che fa traboccare il vaso dei delicatissimi equilibri o disequilibri della regione. Una situazione esplosiva che ora anche l'Isis avrebbe deciso di cavalcare, con l'obiettivo di spezzare invece l'asse fra l'Iran e le fazioni sunnite, fra cui Hamas. Per questo torna in Medio Oriente il segretario di Stato americano Antony Blinken, che sarà in Israele, Cisgiordania, Giordania, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Egitto e poi anche in Grecia e Turchia.
L'ultimo episodio che surriscalda un clima già rovente ieri in Irak. Un raid con un drone nella capitale Baghdad ha ucciso almeno tre persone, fra cui un comandante della milizia sciita e filo-iraniana Al- Nujaba e un vicecomandante del gruppo Al Shabi, la coalizione irachena che ingloba una settantina di fazioni armate sciite. «Brutale aggressione americana», dice Baghdad. E in effetti un ufficiale americano conferma alla Cnn che l'obiettivo degli Stati Uniti, era proprio il membro di una milizia alleata di Teheran, ritenuta responsabile degli attacchi contro le forze americane in Irak e attiva anche in Siria. Il messaggio al gruppo, accusato dall'ufficiale statunitense di avere «le mani sporche di sangue americano» è chiaro: si colpisce a Baghdad perché Teheran intenda. Con operazioni mirate che ricordano i precedenti israeliani dei giorni scorsi: l'eliminazione a Beirut del numero due di Hamas, Saleh al-Arouri, di cui ieri si sono svolti i funerali in Libano alla presenza di un migliaio di persone, e l'eliminazione a Damasco, in Siria, del generale iraniano che riforniva di armi e finanziamenti le milizie sciite Sayyed Razi Mousavi.
Se le operazioni mirate a Beirut e Damasco portano a Israele, un nuovo elemento destabilizzante si è inserito in Iran. A mettere il cappello sul massacro di un centinaio di civili avvenuto a Kerman, mentre si commemoravano i quattro anni dall'uccisione del generale Soleimani per mano degli Usa, è stato proprio l'autoproclamato Stato islamico. Una variante che aggiunge nuovi rischi.
Dopo Hamas in Israele, Hezbollah in Libano, gli Houthi yemeniti filo-iraniani nel Mar Rosso, l'universo jihadista rialza la testa e fa crescere i timori di un'escalation armata nella regione. Che pure gli Stati Uniti vogliono evitare a tutti i costi, mentre la guerra a Gaza contro Hamas prosegue intensa nel sud e minaccia di allargarsi. Ieri il ministro della Difesa israeliano Gallant ha avvertito l'inviato statunitense Amos Hochstein che la finestra per un'intesa diplomatica con gli estremisti Hezbollah in Libano ormai «è breve».
Gallant si riferisce al ritorno alle proprie case di 80mila residenti del nord di Israele, costretti a evacuare a causa dei continui attacchi delle milizie filo-iraniane, che dal 7 ottobre non smettono di colpire Israele, martellando quotidianamente il confine. Ieri nuovi scontri e l'uccisione di almeno 4 miliziani, tra cui un leader locale.
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