Nika Shakarami era una ragazza di 16 anni e insieme a Mahsa Amini è diventata uno dei simboli della lotta delle donne in Iran. Nell'autunno del 2022 mentre le contestazioni di piazza si diffondevano in tutto il Paese, il suo nome veniva gridato dalla folla infuriata contro le rigide regole sul velo. La fine di Nika è stata tragica. La famiglia ha trovato il suo corpo in un obitorio più di una settimana dopo la sua scomparsa durante una protesta. Ma le autorità iraniane hanno negato che la morte fosse collegata alla manifestazione e, dopo aver condotto le proprie indagini, hanno affermato che si era suicidata, si era gettata da un palazzo.
Poco prima di scomparire, Nika è stata filmata la sera del 20 settembre vicino al Laleh Park, nel centro di Teheran, in piedi su un cassonetto mentre dava fuoco all'hijab. Altri intorno a lei cantavano «morte al dittatore», riferendosi all'Ayatollah Ali Khamenei. Nika però in realtà non si è suicidata, è stata uccisa dalla polizia morale. Ne era certa anche sua madre Nasrin. Ma ora non ci sono dubbi. A fare chiarezza è un documento «altamente confidenziale» trapelato dalle stesse forze di sicurezza di cui ha preso visione la Bbc.
In quell'ora che passa prima dell'arresto, Nika sente al telefono Nele, un'amica tedesca e capisce già cosa le sarebbe successo, le dice «mi stanno cercando, abbi cura di te». La polizia subito dopo infatti la carica in auto. Sono gli agenti della Squadra 12. Dietro, con lei, ci sono Arash Kalhor, Sadegh Monjazy e Behrooz Sadeghy. Davanti, il caposquadra Morteza Jalil. Nel report della Bbc si legge che una guardia, Sadeghy, racconta che nella camionetta Nika grida, si ribella: «Arash Kalhor le ha imbavagliato la bocca con i calzini ma lei ha iniziato a dibattersi. Poi Sadegh (Monjazy) si è seduto su di lei, ma dopo pochi minuti ha iniziato a imprecare. Non vedevo niente, sentivo solo combattimenti e colpi». Kalhor racconta di aver visto Sadegh Monjazy «infilarle la mano nei pantaloni». Poi si è perso il controllo. «Non so chi lo stesse facendo, ma potevo sentire il manganello che colpiva l'accusata. Ho iniziato a dare calci e pugni ma in realtà non sapevo se stavo colpendo i nostri ragazzi o Nika». Monjazy nega di averle messo la mano nei pantaloni, ma ammette di essersi «eccitato» mentre era seduto su di lei e di averle toccato il sedere. Il capo ordina poi all'autista di fermarsi. Apre la porta posteriore e vede che Nika è morta. Le pulisce il sangue dalla testa e sulla faccia e abbandona il suo corpo martoriato sul ciglio della strada.
Ora un altro giovane potrebbe diventare una nuova vittima innocente del regime degli Ayatollah. Si chiama Toomaj Salehi, ma è conosciuto semplicemente come Toomaj, ed è un rapper. Ha 33 anni e qualche giorno fa un tribunale iraniano lo ha condannato alla pena capitale. Una ritorsione per la sua musica a sostegno delle proteste del movimento Donna, Vita, Libertà. L'accusa è di «corruzione sulla Terra». Una campagna internazionale sta cercando di sottrarlo alla morte, tra cui la fumettista e regista di origini iraniane Marjane Satrapi e l'attrice Golshifteh Farahani.
Il Club Tenco e Amnesty International hanno invitato «gli artisti, la società civile e le istituzioni italiane, europee e internazionali a mobilitarsi per salvare la vita di Salehi». E anche gli organizzatori del Concerto del primo maggio hanno annunciato di voler inserire in scaletta un appello per la sua liberazione.
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