Iroso, l'ultimo mulo-alpino sopravvissuto a naja e macello

Aveva 40 anni, come un uomo di 120. Nel 1993 la Difesa dismise gli animali e le penne nere lo riscattarono all'asta

Iroso, l'ultimo mulo-alpino sopravvissuto a naja e macello

A ddio «vecio». Quarant'anni sono un'infinità per un mulo ed erano un'eternità per Iroso, il mulo alpino più longevo d'Italia. Un altro equino avrebbe semplicemente tirato le cuoia. Il Generale Iroso no, lui è «andato avanti» come fra le truppe di montagna si usa dire di qualche commilitone che non c'è più. Chissà com'è il paradiso dei muli alpini. Luca Zaia, governatore del Veneto, lo immagina come un'immensa montagna placida: «Iroso è lassù, forte e vitale come un tempo, a sfidare di nuovo un sentiero impervio, perché Iroso non è morto, è andato avanti su quel sentiero».

L'onorata carriera del mulo con la piuma sul cappello toccò l'apice due anni fa, quando esso giunse con tutti gli onori all'Adunata di Treviso. Il vecchio quadrupede se ne stava tranquillo e beato in un recinto di Vittorio Veneto, località Cappella Maggiore, sui colli dove cent'anni prima i suoi antenati contribuirono al trionfo su Cecco Beppe. All'epoca di anni ne aveva 38, i suoi commilitoni umani a quell'età sono ancora dei «bocia» nel pieno del vigore, ma per un quadrupede come lui il tempo passato era un peso enorme. Come se un uomo varcasse la soglia dei 114 anni: così sentenziò la dottoressa Barbara Bisatti, il veterinario che visitò l'animale alla vigilia dell'Adunata e diede il via libera al viaggio andata e ritorno da Treviso. Il patriarca si sottopose alla visita come una recluta e affrontò docilmente i 50 interminabili chilometri in un furgone di lusso, interamente imbottito per evitargli traumi e dotato di un accesso speciale in modo da eliminare ogni inciampo.

Un matusalemme, un simbolo di vita sana e fortunata. A Iroso non erano mancate né l'una né l'altra, essendo sopravvissuto alle fatiche dell'esercito, al licenziamento e infine anche al macello. A Treviso il mulo aveva già sfilato nel 1994. Allora apparteneva ancora al Settimo reggimento alpini di Belluno, matricola 212, numero stampigliato a fuoco sullo zoccolo anteriore sinistro. I «bocia» se l'erano trascinato dietro per protesta verso il ministro della Difesa, il socialista Fabio Fabbri, che l'anno prima aveva deciso di vendere all'asta gli ultimi 24 muli in forza al Corpo. Fu un grave affronto, un colpo di spugna su sofferenze comuni, campagne militari, ricordi. I muli in guerra trascinarono armi e tende, vettovaglie e feriti, silenziosi e insostituibili, compagni degli alpini anche da morti, quando evitarono a tanti soldati di morire di fame.

Il Comando brigata alpina Cadore dovette obbedire. Scattò sull'attenti e bandì l'asta per i poveri muli. Ma un alpino trevigiano in congedo, Toni De Luca, 71 anni, commerciante di legname, si fece avanti il 7 settembre 1993, ultima data in cui evitare che i combattenti a quattro zampe fossero trasformati in salami. Se ne portò via una dozzina per una ventina di milioni di lire, in parte raccolti tra un gruppo di penne nere. C'era anche il Generale Iroso. De Luca li fece lavorare nei boschi a trainare carri di legname e se ne prese cura con i coscritti del reparto Salmerie della sezione di Vittorio Veneto dell'Associazione nazionale alpini.

Iroso era l'ultimo dei superstiti. Era in pensione da anni, non tirava più la carretta, era cieco e sdentato, ma nel recinto trovava un'asina a fargli compagnia. All'ultimo mulo militare l'ultima festa è stata fatta a gennaio, per il compleanno numero 40. Tra le migliaia di persone presenti c'era pure il governatore Zaia, trevigiano come il salvatore di Iroso.

«Tante volte ci siamo incontrati ha ricordato ieri - e ogni volta era come ritrovare un vecchio amico, non solo un animale di accarezzare e rispettare. Un amico degli alpini. In lui c'è stata una fierezza straordinaria, con la quale ha rappresentato tanti valori: l'alpinità, la storia del nostro territorio, l'identità del Veneto e delle genti di montagna».

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