La battaglia non è finita, non finisce mai per Israele: l'Iran ancora prepara la bomba atomica e lo fa proprio a Teheran dove il Mossad ha scoperto una fabbrica zeppa di strumenti e materiali atomici, mentre, sempre da rivelazioni inedite, gli hezbollah gestiscono tre fabbriche segrete di missili di precisione attaccate all'aeroporto di Beirut. Così Netanyahu, mostrando le strutture in foto e sulle mappe di Google, nel suo discorso all'Assemblea generale dell'Onu denso di passione e di temi diversi, ha rivelato informazioni di intelligence molto drammatiche, mai trapelate prima. Ha anche affermato che materiale radioattivo, nel tentativo di celare la fabbrica di Teheran, è stata disperso dagli iraniani proprio nella capitale stessa con grande rischio della popolazione. E ha rivolto un appello all'Aiea, l'agenzia atomica, e al suo capo Yukya Amano: fate finalmente un'ispezione, ha esclamato, visto che neppure quando a febbraio vi abbiamo consegnato le informazioni sull'archivio atomico che provava la permanenza del disegno atomico vi siete mossi. Netanyahu, anche se ha disegnato un quadro molto diverso da quello per cui per tanti anni ha seguitato a denunciare valorosamente da solo, all'Onu, la pericolosità dell'Iran e ha ringraziato l'amministrazione Trump per aver ristabilito un regime di sanzioni verso il regime degli Ayatollah, pure ancora sente che per Israele questo è il primo tema strategico: un Paese che lo minaccia di sterminio ogni giorno, che insiste nel preparare una bomba atomica per questo, e che nel contempo, come il Primo Ministro israeliano ha descritto, si espande in Siria, in Iraq, in Libano, in Yemen con un disegno imperialista e di avvicinamento al confine israeliano.
Netanyahu ha anche messo in guardia l'Occidente, l'ha anzi richiamato: perché questo colpevole appeasement? Non si capisce come l'Europa (e non solo, non si è scordato di dire Netanyahu, con palese riferimento alla Russia di Putin) seguiti a sostenere un regime che oltretutto la minaccia con attentati terroristi, di cui gli ultimi molto recentemente sventati.
Il corpo a corpo con Abu Mazen, si può dire, nonostante i toni aspri su temi morali sostanziali non c'è stato sul terreno politico, l'asprezza inutile delle accuse di Abu Mazen intervenuto poco prima, che disegna esplicitamente Israele come un Sud Africa da distruggere in quanto indegno di esistere, hanno cassato una possibile discussione. Delegittimazione e demonizzazione, accuse di apartheid, disprezzo per la nuova costituzione che definisce Israele lo Stato del popolo ebraico, esaltazione dei «nostri martiri» gli shahid terroristi che sono l'unica costante strategica della storia palestinese hanno svuotato quell'ombra di resipiscenza che, dato il taglio di fondi dei Trump, è sembrata riabilitare il concetto di processo di pace. Ma non ha funzionato: è passato troppo tempo, troppo sangue, anche troppo logoramento di una leadership ormai alla fine. Trump il giorno prima, quando nel suo discorso all'Onu e anche nel suo incontro con Netanyahu ha cercato di spingere avanti la formula «due Stati per due popoli» ha detto che pensa che sia la migliore, anche se poi alla fine è tornato a un «decidano loro, uno Stato due Stati, quello che li fa star meglio». Ma Abu Mazen ha aperto il suo discorso dicendo «Gerusalemme non è in vendita». Un palese riferimento al trasferimento americano dell'ambasciata nella capitale.
Da qui, dopo una marea di proteste, accuse, dopo la descrizione di Israele come di un mostro violatore di tutti i diritti umani, e le accuse durissime a Trump, non si capisce in realtà dove si appoggi la ripetuta assicurazione di Abu Mazen di essere disponibile alla pace.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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