Joussef, dall'inferno della Libia al carcere. Ma per i centri psichiatrici c'è la lista d'attesa

Il ragazzo arrivato in Italia da minorenne su un barcone. Nelle Rems 445 ospiti, in 675 aspettano di entrare

Joussef, dall'inferno della Libia al carcere. Ma per i centri psichiatrici c'è la lista d'attesa
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Secondo i dati diffusi ieri dal segretario generale del sindacato Uilpa Gennarino De Fazio a San Vittore sono letteralmente stipati 1.100 detenuti, a fronte di 445 posti disponibili, con un sovraffollamento di oltre il 247%, sorvegliati da 580 appartenenti alla polizia penitenziaria, distribuiti su più turni e compresi gli addetti agli uffici e ai servizi vari, rispetto a un fabbisogno di almeno 700, con una scopertura del 17%. «Questo dramma - sottolinea De Fazio - ha le sue radici nelle condizioni attuali del sistema penitenziario».

L'egiziano morto carbonizzato l'altra notte a San Vittore, il 18enne Joussef, come racconta il suo legale Marco Ciocchetta, era arrivato in Italia dall'Egitto, passando per la prigione in Libia, a bordo di un barcone quando era minorenne. L'avevano trovato legato nel bagno del barcone, punito per i suoi comportamenti respingenti verso gli altri.

«Con un vizio di mente riconosciuto, Joussef non doveva proprio stare in carcere e la colpa principale non è da addebitarsi al sistema carcerario, ma a quello sanitario» interviene Giuseppe Moretti, presidente del sindacato della Polizia Penitenziaria Uspp. E spiega: «Il giovane egiziano morto carbonizzato a San Vittore doveva stare in una Residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), che prevede di adottare una terapia e una riabilitazione strettamente personali nei confronti del paziente, tenendo conto del grado della misura di sicurezza giudiziaria e della pericolosità personale e sociale o del reato commesso».

Purtroppo le Rems sul territorio non sono sufficienti: dall'ultima Relazione annuale al Parlamento del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale (luglio 2023) leggiamo che sono attualmente 632 le persone ospitate nelle 31 Rems sorte sul territorio, e 675 sono in lista di attesa. Mentre le persone con problemi psichiatrici tra i detenuti sono in continuo aumento.

«Da quando sono stati eliminati gli Opg (Ospedali psichiatrici giudiziari) e la sanità delle carceri è stata affidata alle Regioni, non ci sono più strutture che, su disposizione dell'autorità giudiziaria, facciano da filtro per accertare se un detenuto sia compatibile con la detenzione ordinaria oppure se debba andare in una Rems - prosegue Moretti -. Un tempo, quando una persona con problemi psichiatrici più o meno evidenti arrivava in carcere, la direzione sanitaria si attivava con l'autorità giudiziaria, per far eseguire negli Opg, in quanto strutture ospedaliere dedicate , ovvero popolate solo da psichiatri e infermieri, una perizia psichiatrica che stabilisse la compatibilità con il regime detentivo ordinario o la necessità della permanenza del soggetto interessato nella stessa struttura. L'accertamento durava un minimo di 30 giorni che però potevano anche essere prolungati. Intanto la persona veniva stabilizzata e si facevano indagini sul suo reale stato di salute mentale. Solo dopo questa analisi se veniva stabilito che non poteva stare in carcere, attraverso un provvedimento di applicazione della misura di sicurezza per la pericolosità sociale, il soggetto interessato permaneva in un Opg e il carcere non lo vedeva nemmeno».

«A San Vittore c'è senz'altro una sezione dedicata ai malati psichiatrici ma se il giovane Joussef, come pare, era in una sezione comune significa che - al di là che fosse in attesa del processo - o quel reparto dedicato al momento risulta sovraffollato oppure il comportamento del ragazzo nel quotidiano era tale da far valutare all'autorità del carcere che al momento potesse anche stare in una sezione ordinaria», conclude Moretti.

Le Rems in Italia sono

insufficienti. E all'interno delle carceri le Regioni hanno difficoltà a garantire un assetto sanitario equilibrato visto che infermieri e medici cambiano spesso e non sono incentivati a lavorare tra le mura delle case circondariali.

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