Kabul, vittime salite a 200. Un nuovo allarme attentati "Ora missili contro gli aerei"

Rischio di un altro attacco ma a migliaia tentano di prendere gli ultimi voli. Gli Usa: "Liberati migliaia di prigionieri di Isis-K"

Kabul,  vittime salite a 200. Un nuovo allarme attentati "Ora missili contro gli aerei"

È più forte la speranza della paura. Il giorno dopo l'attentato che ha ucciso circa 200 persone e ne ha ferite altrettante, l'aeroporto di Kabul è ancora affollato di afghani intenzionati a partire in qualsiasi modo. Anche a costo di finire coinvolti in un possibile, probabile, quasi certo nuovo attentato. I «martiri» di Isis-K ronzano come mosche attorno allo scalo e alla calca informe. La minaccia terroristica è presa «molto sul serio» dall'intelligence degli Stati Uniti e «nessuno vuole vederla crescere», come riferisce il portavoce del Pentagono John Kirby. E non è detto che il terrore prossimo venturo avrà lo sguardo spento di un kamikaze che si fa esplodere tra la folla come giovedì. Per il comandante di Centcom Frank McKenzie, possibile che ci siano attacchi con missili agli aerei in partenza, bersagli molto grandi e molto facili. E addirittura «i terroristi attaccherebbero con un aereo, se potessero». In queste ore i servizi americani stanno collaborando con i talebani per evitare un nuovo attentato che addolorerebbe i primi e infastidirebbe i secondi. I quali però secondo lo stesso Kirby avrebbero favorito il rilascio di migliaia di prigionieri dell'Isis-K dopo il ritiro delle truppe Usa dall'Afghanistan. Ogni uomo una possibile arma a orologeria.

All'aeroporto di Kabul ogni minuto è più lungo, da giovedì. Ieri la contabilità delle vittime dell'attentato di Isis-K (per il Pentagono si sarebbe trattato di un solo episodio seguito da una sparatoria e non di due) si è appesantita: prima 90, poi 170 e alla fine (fine?) 200 i morti, con almeno altrettanti feriti. Nel conto sono inclusi i 13 militari statunitensi uccisi e i 18 feriti confermati dal Pentagono. Tra le vittime anche tre cittadini britannici civili. Ieri al Nato ha ricordato i caduti abbassando a mezz'asta le bandiere dei trenta Paesi aderenti all'alleanza nel quartier generale di Bruxelles.

I minuti sono lunghi ma i giorni sono brevi, all'aeroporto di Kabul. Ne mancano quattro allo scadere dell'ultimatum fissato dai talebani al 31 agosto per lo sfratto degli Occidentali. Gli evacuati alla fine saranno poco più di 100mila, forse al massimo 150mila, con tanti afghani che sventoleranno inutilmente i loro documenti. Tutti i Paesi stanno ultimando le loro operazioni, e pazienza per chi dovrà restare. La Spagna, il Canada, la Polonia sono già fuori; l'Italia ha ieri fatto decollare il suo ultimo C-130 J, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Turchia, Svezia anche la Francia che sembrava avere fretta contano di terminare tra oggi e domani. Gli ultimissimi giorni saranno tutti per gli statunitensi, che dovranno chiudere la porta dietro un'esperienza lunga, costosa, dolorosa e alla fine inutile.

Tra qualche giorno l'Afghanistan resterà nelle mani dei talebani. Sul Paese scenderà il silenzio, il buio. Entro qualche giorno ci sarà un governo provvisorio e inclusivo secondo i criteri della sharia: ovvero dentro ci saranno esponenti di tutte le etnie e di tutte le tribù del Paese, compresi i figli dei leader tribali tagiki e uzbeki. Ci sarebbe una lista con dodici nomi, ma non c'è nessuna certezza sulla forma di governo e sulla sua durata.

Ieri i talebani hanno aperto uno spiraglio di civiltà, concedendo alle donne impiegate nella sanità di tornare al lavoro: «Non vi è alcun impedimento da parte dell'Emirato Islamico a svolgere il proprio lavoro», twitta il portavoce afghano Zabihullah Mujahid.

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