Cambiare tutto perché nulla cambi. Una regola aurea per le autocrazie di tutto il mondo, da sempre. E il Kazakistan, gigantesca Repubblica post sovietica dell'Asia centrale, non fa eccezione. Da quasi 35 anni il potere politico nel Paese coincideva con il nome di una sola persona: Nursultan Nazarbayev. Primo ministro già nel 1984, quando il Kazakistan era ancora una delle 15 Repubbliche che componevano l'Urss e a Mosca «regnava» l'effimero uomo di paglia Konstantin Cernenko, poi segretario del partito comunista kazako dal 1989 ai tempi di Mikhail Gorbaciov, Nazarbayev si trovò proiettato nel ruolo di capo di Stato due anni dopo, quando l'Unione Sovietica collassò sbriciolandosi in 15 Stati indipendenti.
Da quel lontano 1991, Nazarbayev ha fatto in Kazakistan il bello e il cattivo tempo: più il bello che il cattivo, a dire il vero, anche perché l'immenso e spopolato Paese della steppa è stato baciato dalla fortuna e si è arricchito grazie ad altrettanto immensi giacimenti di petrolio e di gas. Ieri il Sultano di Luce (questo vuol dire Nursultan) ha sorpreso i suoi connazionali-sudditi annunciando in un discorso televisivo le sue dimissioni. Fine di un'era? Non così di fretta.
Nazarbayev, che sta per compiere 79 anni, è un uomo intelligente e lungimirante. Sa che il suo tempo sta per finire e che deve organizzare la trasmissione del potere ai suoi fedeli, il che significa in primo luogo ai suoi discendenti, con una successione ordinata.
E questo sta facendo. Ha annunciato che praticamente da subito in Kazakistan l'approvazione delle sue volontà da parte del Parlamento è una formalità che viene sbrigata senza troppe chiacchiere il suo posto verrà ricoperto ad interim dall'attuale presidente del Senato, un signore che si chiama Kassym-Jomart Tokayev e che ovviamente è una sua creatura politica.
Tokayev farà la sua parte per un annetto, non di più, perché per l'anno prossimo sono già state annunciate nuove elezioni presidenziali. Ora, considerato che il Kazakistan è di fatto un regime a partito unico di cui Nazarbayev è da trent'anni il leader assoluto; che alle ultime elezioni questo leader ha ottenuto un 97% dei voti di sovietica memoria e che per buona misura è stato insignito del titolo onorifico di Padre della Patria; che al posto di Tokayev è già stata nominata alla presidenza del Senato la 44enne signora Dariga Nazarbayeva, che del Padre della Patria è la figlia maggiore, ebbene non dovrebbe risultare difficile intuire chi sarà, forse già a partire dal 2020, il nuovo (anzi, la nuova) presidente del Kazakistan.
Se tutto questo non bastasse a chiarire che nulla cambierà, Tokayev ha annunciato una rivoluzione toponomastica in classico stile satrapico-sovietico: la capitale Astana sarà ribattezzata con effetto immediato Nursultan, proprio come avvenne a Pietrogrado che divenne Leningrado, a Tsaritsyn che divenne Stalingrado e giù ribattezzando le città di mezza Urss in onore di personaggi come Gorki, Frunze, Ordzonikidze, Kirov, Brezhnev, Andropov eccetera. Curioso destino di Astana (che in lingua kazaka significa semplicemente «capitale»), scelta da Nazarbayev per diventare quasi dal nulla la rutilante città-vetrina del suo nuovo Kazakistan al posto della vecchia capitale Almaty (in russo Alma Ata).
Ora prenderà il suo nome proprio per dimostrare che il regime continuerà anche senza di lui. Sviluppo, quest'ultimo, che non sarà immediato: Nursultan Nazarbayev, che ieri è stato trionfalmente nominato anche Eroe del Kazakistan, ha chiarito che resterà al vertice del partito Nur Otan, nonché capo del Consiglio di sicurezza nazionale.
Continuerà insomma a guidare Tokayev nella gestione di un Paese che finora ha saputo non solo creare pressoché dal nulla, ma soprattutto mantenere in equilibrio strategico tra la «grande sorella» Russia, cui lo lega un patto di collaborazione politica, e l'emergente colosso cinese, senza dimenticare i buoni rapporti con l'Occidente.
Tokayev ha colpito gli osservatori per aver alternato nel suo
discorso le lingue kazaka e russa (Nazarbayev non lo fa), ma è con la Cina che dovrà gestire il dossier più strategico: sul territorio kazako passa un buon tratto di quella Via della Seta di cui tanto si parla anche in Italia.
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