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Kazakistan, la vera sfida del Tokayev-bis: democratizzare il Paese senza irritare Mosca

Rieletto il presidente che dipende dalla Russia (ma non approva la guerra)

Kazakistan, la vera sfida del Tokayev-bis: democratizzare il Paese senza irritare Mosca

La sfida più grande di Kassym-Jomart Tokayev, 69 anni, rieletto ieri presidente del Kazakistan con oltre l'82 per cento dei voti (almeno secondo i primi exit poll), non sarà quella di combattere la drammatica crisi economia che ha scatenato le proteste popolari con 230 morti all'inizio di quest'anno, né quella di democratizzare un Paese avvezzo ai potentati personalistici, dopo quasi un trentennio di dominio dell'«imperatore» Nursultan Nazarbaev. No, la vera sfida di Tokayev sarà muoversi con abilità sullo scacchiere geopolitico internazionale. Il Kazakistan, il nono Paese più grande del mondo e la repubblica più estesa dopo la Russia tra le quindici nate dalla frammentazione dell'Unione Sovietica, è in bilico. Da un lato c'è la riconoscenza a Mosca, a cui deve la sua sopravvivenza politica ed economica e che ha sbrogliato la matassa delle proteste di inizio anno, sedate solo grazie all'intervento di un contingente di soldati russi sotto l'egida dell'Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva che raggruppa alcune delle ex repubbliche sovietiche. Dall'altro c'è che Astana non ha riconosciuto le annessioni territoriali della Russia in Ucraina, attenendosi al sistema delle sanzioni occidentali. E Mosca ha già fatto capire che non tollererà a lungo questa ambiguità senza ricorrere a provvedimenti di tipo economico. Come l'interruzione delle esportazioni di petrolio kazako attraverso il Mar Caspio, già bloccate da una sentenza - poi cancellata - di un tribunale russo, ufficialmente per ragioni ambientali. Minacce che, se messe in atto, potrebbero aggravare la situazione finanziaria di un Paese che già se la deve vedere con un'inflazione molto alta e con un continuo aumento dei prezzo di beni essenziali.

Malgrado questo Tokayev ha ieri trionfato alle elezioni che lui stesso ha voluto anticipare per sfruttare il momento di grande popolarità. E il suo successo, assai più netto rispetto al 71 per cento della prima elezione del 2019, è stato favorito anche da una serie di sfidanti decisamente di basso profilo, come velleitari attivisti, placidi professori e leader di partiti minori. La vittoria era quindi annunciata, anche se forse nessuno immaginava con un risultato così «kazako».

Tokayev punta quindi a consolidare il suo potere e a portare avanti il suo progetto di riforme parzialmente democratiche che ha già avviato anche con gesti volti a garantirgli il favore popolare, come la cancellazione dei privilegi per la sua famiglia e la dismissione degli ultimi tratti di «nazarbayvizzazione» del potere, con l'epurazione di alcune figure legate alla cerchia di potere dell'ex presidente. Tra essi l'ex premier Karim Masimov, arrestato nel pieno dei tumulti quando era alla guida dei servizi di sicurezza interni e ora a processo per alto tradimento, per tentata sovversione violenta e per abuso di potere.

Tokayev punta anche a ridurre gli effetti della crisi economica ammorbidendo la presenza statale e fingendo di combattere gli odiati monopoli, adottando un modello economico più occidentale, fatto di mercato e concorrenza. Almeno a parole.

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