Qualcuno si è chiesto se nel Ventiquattro il mondo sia impazzito. Altri hanno messo in evidenza il passare all'azione di un Asse globale delle autocrazie, caldeggiando non solo consapevolezza del pericolo, ma anche resistenza armata da parte del mondo libero che è finito nel suo mirino. E c'è chi si è spinto a denunciare una «guerra mondiale a pezzi» già in corso, predicando la necessità della pace come valore assoluto. Del 2025 che incomincia si può dire una cosa sola con certezza: che la febbre dell'instabilità che ha caratterizzato il 2024 lo contagerà fin dall'inizio, e probabilmente oltre la sua fine. Quella che segue è una sintetica analisi dei suoi numerosi fulcri di crisi.
STATI UNITI
Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca condizionerà ogni singola casella della scacchiera internazionale. Dal prossimo 20 gennaio, nulla sarà più come prima. Anche se è opportuno fare un po' di tara alle sparate retoriche da campagna elettorale, è ragionevole aspettarsi di tutto da un tipo come Trump. Non a caso Vladimir Putin, cui è stata promessa la fine istantanea della guerra in Ucraina, non si fida. Perfino gli alleati europei degli Stati Uniti sono preoccupati, sia per la minaccia di dazi americani sulle loro merci, sia per le ombre che Trump getta sulla loro sicurezza facendo capire quanto poco gl'importi della Nato: senza dimenticare le provocazioni di Elon Musk, elefante nella cristalleria della politica europea. In Iran e a Gaza devono temere le sue tonitruanti minacce, in Cina l'ossessione per il riequilibrio a ogni costo della bilancia commerciale tra i due Paesi. Aria di tempesta ovunque.
MEDIO ORIENTE
Il 2024 ha visto una sequenza di cambiamenti innescati dal via libera di Teheran e Mosca a Hamas (7 ottobre 2023) per un'azione terroristica senza precedenti in Israele. Le cose non sono andate come speravano l'ayatollah Khamenei e i suoi alleati regionali, perché Israele ha fatto bingo: Hamas è stata di fatto sconfitta e i suoi leader Sinwar e Haniyeh uccisi; la temibile Hezbollah decapitata, con la strage della sua intera dirigenza a partire dal numero uno Nasrallah; l'Iran, che aveva attaccato Israele, è stato colpito e ridotto a balbettare sulla difensiva; il regime filorusso di Assad è crollato costringendo i russi a evacuare la Siria; in Yemen gli Houthi sono sotto attacco. La guerra in Medio Oriente è lontana da una fine su tutti i suoi fronti, ma chi siano i perdenti è chiarissimo. Anche perché il sostegno di Trump a Israele è ferreo.
RUSSIA E UCRAINA
Nonostante la diffusa illusione che accontentare Putin serva a fermare le armi nell'Ucraina invasa tre anni fa, il 2025 sarà un altro anno di guerra. Lo stesso dittatore russo comprende che ricaverà da Trump che ha promesso la fine della guerra in brevissimo tempo, ricattando Zelensky con lo stop alle forniture belliche Usa assai meno di quanto vorrebbe. L'Ucraina è tuttora ben armata, oltre che poco disposta a concessioni alla Russia. Trump in realtà non può permettersi di regalare a Putin una vittoria che non ha saputo ottenere sul campo: sarebbe un'assurda dimostrazione di debolezza. Inoltre, la quasi totalità dei Paesi europei ha capito che, se Kiev crollasse, nel mirino di Putin ci sarebbe l'Europa orientale: molto meglio combatterlo in Ucraina, fornendo a Zelensky quanto basta per tener duro. Si parlerà moltissimo di pace, ma la realtà è questa.
EUROPA
Tre anni di guerra in Ucraina ne hanno seppelliti 70 di equilibri europei. Nel sostegno a Kiev c'è molta retorica (chi può credere che entrerà mai nella Nato?) ma anche parecchia sostanza, conseguenza di un'obiettiva necessità: Putin ha mostrato il suo vero volto imperialista e criminale, illudersi di rimandare indietro le lancette della Storia è ridicolo. Si andrà avanti anche nel '25, tra mille difficoltà: la Francia indebolita dalle divisioni politiche, la Germania da una transizione incerta verso il ritorno della Cdu al comando, con lo spettro rossobruno, l'Est europeo oggetto delle interferenze russe per creare nuove Ungherie e nuove Slovacchie: un'Europa sempre divisa e irresoluta tiene la barra dritta con fatica, en attendent Donald Trump e i suoi ricatti.
CINA E TAIWAN
Dicono che Trump voglia chiudere le guerre in Ucraina e Medio Oriente per dedicarsi alla Cina. Se sarà così, lo vedremo già nel '25. Il sospetto è che abbia le idee chiare sulle mosse economiche, assai meno su quelle geostrategiche e militari. La visione di Biden, che aveva costruito un sistema di alleanze per contenere Pechino nell'Indopacifico, rischia di essere vanificata. Forse hanno più paura di Trump a Taiwan, che si sente sacrificabile, che a Pechino. Anche se le armi offensive americane contro l'economia cinese sembrano assai puntute.
AFRICA
È il parco giochi di Pechino e Mosca, complice la disattenzione occidentale. La Francia è stata sostituita dalla Russia nel Sahel, i cinesi sono la nuova potenza coloniale occulta del Continente Nero. Biden ha tentato tardivamente di avviare un recupero d'influenza con un viaggio in Africa australe, difficile che Trump dedichi tempo a questo quadrante strategico. Qui l'Italia, col Piano Mattei, ha fatto invece il suo.
AMERICA LATINA
Le pretese di Trump sul Canale di Panama rischiano di diventare un tema, ma il vero protagonista del Continente è il presidente argentino Javier
Milei: un vero rivoluzionario ultraliberale, piacciano o meno le sue idee controcorrente e i suoi metodi sopra le righe. Se l'Argentina uscirà dall'abisso di povertà e disuguaglianza sociale grazie a lui, Milei farà scuola.
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