Mario Draghi passa buona parte della giornata chiuso nel suo ufficio di Palazzo Chigi. Quasi in isolamento, se durante l'intera mattina solo in tre o quattro hanno occasione di incontrarlo. Segue prima il dibattito e poi il voto in Senato, dove il M5s ha deciso di disertare la fiducia sul dl Aiuti. Chi lo incrocia lo racconta stanco, forse persino provato. Certamente esausto e insofferente verso una politica che lo sta usando come il parafulmine dell'imminente campagna elettorale. I toni del discorso di Giuseppe Conte di mercoledì e le dichiarazioni dei grillini in Senato e sulle agenzie gli confermano la convinzione che la sua esperienza a Palazzo Chigi sia ormai in dirittura d'arrivo. Il punto, è evidente, non è solo la questione del termovalorizzatore di Roma, ma l'attività del governo nel suo complesso. Anche per questo in mattinata rimanda al mittente il tentativo del ministro Federico D'Incà di evitare il voto di fiducia. La linea resta quella tracciata: abbiamo davanti mesi impegnativi - con l'economia che sarà messa a dura prova dalla crisi energetica e dall'inflazione - e se siamo tutti uniti sono disposto a metterci faccia e reputazione, ma se invece devo essere ostaggio di partiti già in campagna elettorale allora no. Ecco perché il premier vuole il voto di fiducia in Senato, perché l'astensione del M5s è la cartina di tornasole di come andranno i prossimi mesi. Perché oggi è Giuseppe Conte ad alzare l'asticella («schiamazzi diurni», li definisce Matteo Renzi), ma è chiaro che domani sarà la volta di Matteo Salvini e poi chissà. È arrivato il momento, insomma, di «fare chiarezza».
Finisce che il piano inclinato su cui ha deciso di attestarsi da settimane il leader del M5s va fuori controllo. Perché i grillini si astengono come da programma. Viene quindi sconvocato il già previsto Consiglio dei ministri. Il premier, infatti, ha deciso di salire al Quirinale. Dove si dimette, deciso a chiudere la sua esperienza a Palazzo Chigi. Un colloquio teso, tanto che viene seguito da una bolla di silenzio che dura oltre un'ora. Né dall'entourage del premier, né dal Colle arrivano indicazioni. Silenzio di tomba. Non un buon segno, perché la sensazione dei più è che si stia attendendo la chiusura dei mercati. Che già dalla mattina, insieme allo spread, hanno iniziato a ballare davanti allo scenario di una crisi. D'altra parte, è del tutto evidente che - agli occhi degli investitori e delle cancellerie straniere - un Paese che manda in malora un governo guidato da quello che è l'italiano più autorevole all'estero non può che avere credibilità zero. Chissà, magari più avanti se ne renderà conto anche Conte, che - con buona pace del suo presunto profilo istituzionale - rischia di rimanere con in mano la pistola delle elezioni anticipate.
Draghi torna a Palazzo Chigi e alle 18.15 finalmente riunisce il Consiglio dei ministri. Il premier entra, si siede e legge il comunicato in cui annuncia le sue dimissioni. «La maggioranza di unità nazionale - dice - non c'è più». E ancora: «È venuto meno il patto di fiducia alla base dell'azione di governo. Da parte mia c'è stato il massimo impegno per proseguire, ma come è evidente dal dibattito e dal voto non è stato sufficiente». L'ex Bce non usa l'espressione «dimissioni irrevocabili», ma chi lo conosce è convinto che la determinazione sia quella. E che il non esplicitare nero su bianco una scelta definitiva sia il frutto di una lunga mediazione con il Quirinale. Dove Draghi torna dopo il Consiglio dei ministri. E dove diventa plastica la divergenza di vedute tra premier e capo dello Stato. Sergio Mattarella, infatti, respinge le dimissioni. L'obiettivo, già discusso nel primo colloquio, è parlamentarizzare la crisi. Draghi, dunque, tornerà alle Camere mercoledì per verificare il rapporto fiduciario con le Camere, visto che ieri in Senato la fiducia il governo l'ha comunque ottenuta. Un modo per prendere tempo, nella speranza che in cinque giorni si possa ricucire. Una prospettiva che, ha fatto presente l'ex Bce al capo dello Stato, lui non vede. Anzi, raccontano fonti del Pd, a Mattarella avrebbe persino detto di non essere disponibile neanche all'ordinaria amministrazione, proponendo - nel caso - il nome di Daniele Franco.
Ma il Quirinale vuole evitare salti nel buio, una crisi estiva in un momento tanto delicato e elezioni in autunno con la legge di Bilancio da approvare entro il 31 dicembre. È questa la divaricazione, che rimbalza per tutto il giorno tra Palazzo Chigi e il Colle, tanto che a tarda sera una nota del Qurinale sottolinea la «totale identità di vedute» tra Draghi e Mattarella. Che al premier dimissionario avrebbe fatto presente come in caso di crisi l'unico scenario possibile sia quello delle elezioni anticipate.
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