È il signore delle grandi invernali sugli Ottomila, ma non punta il dito sul caldo. Simone Moro, alpinista, pilota, scrittore e soprattutto cantore - le sue Orobie nel cuore - di tutte le montagne italiane, ha una idea precisa sulla tragedia della Marmolada.
Moro, quanto centrano caldo e riscaldamento globale e quanto eventuali imprudenze dell'uomo?
«Guai a cercare un colpevole. A meno di non scrivere tutti i nostri nomi e cognomi. O siamo tutti colpevoli o non lo è nessuno».
Quindi è stato un evento imprevedibile?
«Si, come un sisma. Non dobbiamo cercare inadempienze e responsabilità solo per lavarci la coscienza. Là sotto sono rimaste persone troppo diverse, per provenienza, preparazione, velleità ed età per poter dire che è stato l'uomo a sottovalutare le condizioni o che altri uomini avrebbero potuto prevedere, chiudere, limitare».
Però c'era un caldo anomalo
«Sotto e sopra la calotta che si è staccata si è camminato fino a due giorni fa e lo si farà di nuovo in futuro. Poteva cedere prima, mai o più avanti. Senza che si potesse prevedere. Che in montagna anzi in ogni angolo del pianeta - faccia sempre più caldo è un dato di fatto. Spostiamo, però, l'attenzione dal ghiacciaio: il crollo ha innescato una valanga - fra rocce, ghiaccio e detriti - così ampia da coinvolgere non solo quel paio di cordate impegnate sulla via normale alla vetta, ma anche intere famiglie che facevano un pic nic su sentieri più semplici ed escursionisti che non stavano azzardando oltre i loro limiti. Ci sono bambini e guide alpine. È una tragedia totale, trasversale. Le Dolomiti, con la loro formazione antichissima da tempo sono interessate da questi crolli. Questo è stato enorme e terrificante».
Quindi nessuna «leggerezza» umana?
«Facciamo un esempio: un conto è l'imprudenza di uno o più alpinisti che si infilano per una via sotto un seracco notoriamente pendente e in bilico con neve così marcia da sembrare poltiglia sotto i ramponi. E già non è questo il caso della Marmolada. Tutto un altro conto è, invece, una fetta di montagna che si stacca, travolge ogni cosa, alterando per sempre la fisionomia di una valle. Se il crollo fosse stato poco più ampio magari la valanga poteva arrivare fino al parcheggio, al lago e al passo Fedaia e colpire qualche auto. Che cosa avremmo detto? Che si dovevano chiudere anche le strade alle auto?».
Montagna e mare non si possono chiudere.
«Esatto: lì sotto sarebbe morto anche l'alpinista più preparato. Anche Simone Moro. È come la livella: siamo tutti uguali e questa situazione riguarda le Alpi, ma anche l'Himalaya. Vi ho trascorso, come ogni anno, buona parte dell'inverno e poi la primavera per il mio lavoro di pilota. Sa che cosa vedo? Il campo base dell'Everest è nello stesso luogo da 70 anni e non è frequentato da improvvisati. Eppure ci sono ormai crolli anche li».
La natura è padrona di casa e per bussare alla sua porta che atteggiamento dobbiamo tenere tanto più oggi?
«Lasciando da parte eventi eccezionali come questi, dobbiamo prendere atto che il mondo sta cambiando e che anche stare al sole in riva al mare con 38 gradi oggi è più pericoloso. Intendo dire che noi dobbiamo impegnarci non solo informandoci e allenandoci per le passioni che vogliamo seguire. Dobbiamo cambiare atteggiamento nella quotidianità: ridurre le comodità e gli sprechi. Meno ascensore e più scale, fare domani una doccia più rapida di ieri, evitare aria condizionata e riscaldamento a palla. Oggi è il giorno del dolore, ma questo è un contributo piccolo ma concreto che ognuno di noi può dare. A meno che».
Tutti o nessuno?
«Altrimenti sarà sempre colpa di tutti e di nessuno».
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