Il Cairo. Nell'ambito del dialogo bilaterale iniziato 50 anni fa da Shenouda III, che incontrò Paolo VI nel 1973 mettendo fine a secoli di divisioni tra la due Chiese, oggi è il Patriarca copto Tawadros II a parlare dei progressi fatti: nei rapporti tra la chiesa d'Egitto e Papa Francesco, ma anche dei nuovi spazi di partecipazione alla vita istituzionale che i cristiani si sono ritagliati in un Paese che conta 90 milioni di musulmani.
Il Pontefice qualche giorno fa l'ha definita amichevolmente «uno bravo, un uomo di Dio». Vuole inviare un messaggio a Francesco in questi giorni complicati?
«Ci sentiamo sovente e oggi prego Dio affinché gli doni longevità e salute, lo ringrazio per le sue visite come messaggero di pace e di amore in giro per il mondo, e ancora una volta per la visita in Egitto nel 2017, è stata molto importante».
Può darci una «geografia religiosa» dell'Egitto?
«Siamo circa 15 milioni, e viviamo con 90 milioni di musulmani. Tra i 7 milioni di egiziani all'estero, i copti sono oltre 2 milioni. Ci sono più di 500 chiese all'estero e 12 monasteri guidati da uomini e donne. Siamo in 100 Paesi, tra Usa, Canada, America Latina, Europa, Golfo Persico e Asia, fino in Australia, con una piccola comunità anche nelle isole Fiji».
I rapporti con il governo egiziano sono migliorati negli ultimi anni?
«Col presidente Al Sisi abbiamo ottime relazioni, confidenziali direi, ci vediamo svariate volte l'anno e viene personalmente in visita qui alla cattedrale di San Marco ogni 6 gennaio, per il Natale copto. Abbiamo relazioni strette anche con governo e Parlamento».
Qual è la rappresentanza dei cristiani copti in Parlamento?
«Abbiamo 40 deputati alla Camera e 30 al Senato, e per la prima volta c'è un copto alla testa della Suprema Corte costituzionale (il massimo organo giurisdizionale del Paese, ndr) e abbiamo anche buone relazioni con il grande imam di Al Azhar, lo incontriamo spesso».
La sua prima visita da Papa all'estero è stata in Vaticano da Francesco. Perché?
«Siamo davvero due amici, sul piano personale e spirituale. Ci sentiamo spesso al telefono. C'è una giornata consacrata alla fraterna amicizia tra le due Chiese, il 10 maggio, e quest'anno festeggeremo mezzo secolo di fraternità».
Con la guerra in Ucraina in corso da più di un anno le relazioni con la chiesa russa si sono deteriorate?
«Abbiamo buone relazioni con la chiesa russa e non accettiamo la divisione di quella ucraina, è in corso una guerra assurda, che non ha alcun senso, mi rivolgo all'Occidente che sostiene l'Ucraina, per far finire questa guerra, che ha un'influenza negativa anche qui. Gli ortodossi d'oriente sono nostri fratelli, noi abbiamo un ruolo in Egitto. La prima responsabilità è spirituale, formare l'essere umano, la seconda è servire la società, per questo costruiamo scuole copte e ospedali per tutti i cittadini».
Eppure le vostre chiese hanno subìto attacchi, compresa la cattedrale di San Marco dove ci troviamo, colpita nel 2016 con 12 chili di tritolo. Perché, secondo lei?
«Da anni alcune chiese sono nel mirino di terroristi indottrinati dall'estero. Il 14 agosto 2013, prima della nomina del presidente Al Sisi, quasi 100 avevano subìto attentati o danneggiamenti, alcune incendiate. Lui ha dato una linea diversa al Paese e oggi la situazione è molto migliorata. Quegli attacchi erano contro l'unità tra copti e musulmani, che oggi è di nuovo forte, i valori sono l'equilibrio e la stabilità per l'Egitto. La sola differenza è che i copti vanno i chiesa e i musulmani in moschea».
Ricordo però che fino a qualche anno fa, anche solo per sistemare un bagno in una chiesa, serviva un decreto. Oggi, attraversando l'Egitto e le sue nuove città, ne ho viste diverse in costruzione, è così?
«Sì, la legge che abbiamo approvato nel 2016, per erigere nuove chiese (o regolarizzare quelle già esistenti, ndr), è stata la prima. Prima per ogni intervento si doveva ricorrere a un testo dell'impero ottomano...».
Quante se ne
stanno costruendo?«Possiamo dire una al mese in questa fase, cerchiamo di edificare una chiesa in ogni nuova città. A oggi ce ne sono oltre 3mila in Egitto, ma restano molte regioni che hanno bisogno di chiese».
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