Disse al pm Eugenio Costantino, il presunto emissario della 'ndrangheta in Lombardia: «La storia dei voti procurati da Crespi Ambrogio a Zambetti me la sono inventata di sana pianta. È il mio modo di essere, io mi vanto con tutti, con mio padre, con il mio migliore amico». Disse alla moglie, intercettato in carcere, l'ex assessore regionale Domenico Zambetti: «Da Crespi non ho preso neanche un voto!». E, soprattutto, scrisse Roberto D'Alimonte, guru dei flussi elettorali: «Nella zona di Crespi non c'è traccia di picchi a favore di Zambetti».
E invece alle dieci di ieri mattina Ambrogio Crespi, regista cinematografico, fratello del sondaggista Luigi Crespi (quello di Berlusconi e del «Contratto con gli italiani») si presenta al carcere di Opera, accompagnato dal fratello e dalla moglie. È il carcere dove nel 2012 ha passato duecento giorni di custodia cautelare e dove ora dovrà passare altri cinque anni, dopo che la Cassazione ha confermato la sua condanna per concorso esterno in associazione mafiosa: unico comportamento concreto addebitatogli, i voti dei clan calabresi che avrebbe portato a Zambetti nella campagna elettorale di undici anni fa. Quei voti che esistevano solo nelle millanterie di Costantino, e di cui nelle urne il professor D'Alimonte non ha trovato traccia. Eppure Crespi va in carcere, condannato definitivamente.
Sei anni per lui, sette e mezzo per Zambetti: che Costantino e i calabresi li ha conosciuti davvero, e ne ha cercato o subìto i voti («Non me la sono sentito di diventare un eroe antimafia», dirà in una intercettazione). Invece di voti intorno a Crespi non c'è ombra, e l'unico calabrese che incontra, senza combinarci niente, è all'epoca un incensurato.
«Ho abbracciato i miei figli, qui non sarà facile vederli», dice Crespi al Tg5 sulla soglia del carcere dove stava Totò Riina. In valigia ha Hemingway e Brecht. Il fratello Luigi cita precedenti importanti, «è come Tortora», «è come Sacco e Vanzetti». Di certo c'è che l'Ambrogio Crespi che da ieri sera è in cella a Opera è un uomo molto diverso da quello incriminato dieci anni fa dal pool antimafia di Milano. Dopo i duecento giorni di carcere preventivo Crespi ha preso una strada nuova e difficile, un docufilm dietro l'altro per raccontare il mondo della lotta alla mafia ma anche l'universo carcere. Il suo Spes contra spem è diventato film di culto portato nelle scuole, ha raccontato sullo schermo eroi della lotta a Cosa Nostra come Mario Mori e Sergio De Caprio. E un prete di trincea come Luigi Merola, parroco nelle terre della camorra, lunedì ha commentato così sui social la notizia della condanna definitiva: «Ho conosciuto Ambrogio Crespi quasi due anni fa quando è venuto a Napoli e ha voluto conoscere la nostra realtà e dare così voce alle nostre creature, sui fatti. Non ho dubbi sulla sua innocenza».
Ieri i cancelli blindati si chiudono su Crespi e sulle certezze di don Merola. Il regista antimafia ha più di cinque anni da scontare per concorso esterno in associazione mafiosa: un reato che sulla carta gli rende quasi impossibile accedere ai benefici carcerari, anche se in passato qualche spiraglio si è aperto.
E il percorso di Crespi (cui la sentenza d'appello, caso raro per queste accuse, concesse le attenuanti generiche) renderebbe sensata questa strada. Ma intanto la moglie Helene va giù pesante: «Non è un errore giudiziario. Sapevano perfettamente che stavano condannando un innocente».
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