Per Matteo Renzi è la partita delle partite. Nel voto per il nuovo capo dello Stato non si gioca soltanto la leadership all'interno del partito, ma la stabilità del governo. La chiamata in correità ai democrat ("Se va male, siamo noi i colpevoli"), la ricerca di un’intesa il più possibile ampia ("Pd, Fi, Ncd, ma meglio ancora se anche M5S"), la piena legittimazione delle trattative con tutti ("Il presidente della Repubblica è eletto da accordi, non da un partito") tradiscono il tentativo di Renzi di non legare al proprio nome soltanto le ripercussioni politiche e di sentiment nell’elettorato, inevitabilmente legate alla scelta. Ma l'addio di Sergio Cofferati rischia di pesare enormemente sulla votazione. "L’addio di Cofferati al Pd unito al caso del decreto fiscale certamente non aiutano a costruire un clima positivo - ha detto Stefano Fassina a RaiNews 24 - il modo sbrigativo, offensivo per la dignità di Cofferati, con cui la sua scelta è stata trattata, pesa notevolmente sul Quirinale".
A pochi giorni dal voto per il Quirinale, Renzi si trova sempre più solo. I sondaggi non sono più dalla sua parte. Dalle europee dell'anno scorso ha bruciato il 6% dei consensi. E inizia a sentire il fiato sul collo del centrodestra che, se andasse unito alle elezione, sarebbe di appena un paio di punti sotto il centrosinistra. Di fronte ai primi segnali di stanchezza per riforme promesse ma non ancora in porto, con il Pd in ebollizione ed il rischio forte di perdere pezzi, davanti alle crepe sempre più evidenti del Patto del Nazareno e con le prime incrinature del consenso, gli esiti nefasti di un errore sul Colle si legherebbero non solo al destino personale di Renzi, ma alla tenuta della legislatura. "Non ci possiamo permettere di sbagliare", ripete perciò a tutti il premier.
Renzi sa bene che le scelte fatte nelle elezioni presidenziali degli ultimi anni hanno avuto ripercussioni clamorose sia a livello politico che nell’opinione pubblica. Pierluigi Bersani ha pagato con le dimissioni il prezzo dell’affossamento di Romano Prodi e lo spettacolo indecente offerto dal parlamento nel 2013. La fine della solida leadership di Massimo D’Alema è iniziata con l’aver subito nel 1999 l’elezione di Ciampi e con la successiva rottura con il Ppi di Franco Marini. Anche Renzi sa che pagherebbe un prezzo davanti all’opinione pubblica. Gli italiani, infatti, non gli perdonerebbero una scelta sbagliata. La leadership (di governo e partito) risulterebbe appannata qualora puntasse su un candidato troppo debole, sbiadito o della vecchia guardia.
In parlamento non mancano certo le truppe pronte a impallinarlo per un nome troppo gradito a Silvio Berlusconi. E chi dal centrodestra, Angelino Alfano in primis, lo avverte sulle conseguenze di un candidato troppo legato alla "ditta" piddina, già piazzata ai vertici delle istituzioni. Tuttavia è proprio la minoranza democrat a impensierire maggiormente Renzi dopo l’addio di Cofferati. Che potrebbe preludere alla nascita di una "Cosa Rossa" con pezzi della sinistra piddina e del Sel di Nichi Vendola.
Una scissione che farebbe perdere per strada numeri essenziali per il percorso riformatore. Ecco perché nello staff del premier c’è anche chi lo invita a scegliere una figura di primo piano: "Un nome alla Papa Francesco che sparigli le attese del Palazzo".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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