Mentre la Gran Bretagna piange la sua Regina, una domanda rimbalza per i quattro angoli della terra: perchè dovremmo ancora giurare fedeltà a Londra? A chiederselo sono alcuni dei 57 Paesi del Commonwealth, dove i più piccoli sono quelli che fanno più rumore perchè vedono nella monarchia britannica il simbolo di un passato coloniale a cui non desiderano più essere legati. A novembre le Barbados, dopo quasi 400 anni di fedeltà alla Corona britannica, hanno deciso di abbandonare il Commonwealth per diventare una Repubblica. Così potrebbero fare altri. Anche il professor Antonio Villafranca, direttore della ricerca dell'Ispi, intravede nell'istituzione un indebolimento, anche se esclude una rottura dirompente.
Il Commonwealth sarà più debole ora che la Regina Elisabetta non c'è più?
«La Sovrana è stata senza dubbio più grande della monarchia stessa. Anche chi non era monarchico nutriva una profonda stima per la sua figura. La sua morte, nel Castello di Balmoral, in Scozia, dove esiste una forte spinta indipendentista potrebbe essere stato un disegno. Non lo sapremo mai con certezza, ma non sarebbe sorprendente se fosse stata una scelta precisa della Regina. Il suo feretro che attraversa tutto il Paese ha un valore simbolico enorme. Allo stesso modo, tra le popolazioni del Commonwealth, godeva di enorme rispetto anche tra coloro che hanno posizioni meno monarchiche».
Cosa cambierà?
«Sicuramente la spinta, ora che è morta la Regina si farà più attiva. Per molti intraprendere un cambiamento attraverso l' iter parlamentare era ritenuto un atto di offesa nei confronti alla Regina. Oggi con Carlo questo riguardo potrebbe non esserci più. E sappiamo bene che altre sei isole caraibiche spingono per il referendum. Antigua proprio ieri mattina ha annunciato le consultazioni».
Anche la Nuova Zelanda ieri ha annunciato che in futuro sarà una repubblica.
«Si anche se occorre fare a questo proposito una distinzione. Le piccole isole, come quelle caraibiche c'è il tema fondamentale della schiavitù, che ovviamente la famiglia reale ha duaramente criticato. Lo stesso William durante il suo viaggio, si è espresso su questo, eppure nessuno di loro ha chiesto scusa, o ha parlato di risarcimento. Una tessera fondamentale su cui fanno leva coloro che non vorrebbero più un sovrano britannico».
Carlo chiederà scusa?
«Non credo che lo farà. Ha già annunciato che si muoverà nel segno della continuità. E come dargli torto. Elisabetta è stato uno straordinario strumento di soft power della Gran Bretagna».
E cosa succederà con gli Stati più grandi?
«Canada, Australia e Nuova Zelanda, sono desiderose di mantenere ancora la corona come capo di Stato. Il Governatore Generale svolge un ruolo di attore super partes, un coordinatore. Una carica onoraria, ma anche un referente, capace di mediare, di trovare un equilibrio istituzionale che risulta molto utile. Ecco perchè in questi Stati non si avverte un senso di urgenza. Si potrebbe aprire il dibattito, certamente, ma non sarà condotto in modo rapido».
L'iter parlamentare per dire addio al re è complicato?
«Non direi, si tratta di una cooperazione libera e volontaria. Siamo ormai lontani anni luce dall'Impero e dall'imperialismo».
Oggi
cosa tiene insieme tutti questi Stati così diversi tra loro?«Prima di tutto la lingua. E l'appartenenza ai valori anglosassoni. Il tema economico è secondario. Per buona pace anche dei sostenitori della Brexit».
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