L'alba di paura di Donetsk "Noi a rischio ogni giorno"

Le voci dalla roccaforte separatista del Donbass. E a Kiev tra i civili che si arruolano contro Mosca

L'alba di paura di Donetsk "Noi a rischio ogni giorno"

Kiev. «Oggi va male, molto male. Alle sei del mattino mi hanno svegliato le cannonate. Si sentivano bene, colpi pesanti», racconta al Giornale un italiano raggiunto ieri sera al telefono a Donetsk, la roccaforte separatista nel Donbass. Si riferisce all'improvvisa esplosione della battaglia d'artiglieria fra l'esercito ucraino ed i separatisti filo russi, che avrebbero colpito un asilo a Stanytsia Luhanska sotto controllo di Kiev. Anche un liceo del villaggio di Vrubivka è stato centrato. I bambini dell'asilo ed i liceali si sono salvati nei rifugi. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky ha parlato di «una grande provocazione delle forze filorusse». Il buco nella parete di mattoni dell'asilo completamente sfondata, però, stride con i vetri intatti delle finestre vicine come hanno evidenziato i media russi. Un breve filmato mostra calcinacci, giochi e disegni dei bambini stracciati dall'esplosione.

«Una tragedia: Mi sembrava di essere tornato ai tempi peggiori della guerra scoppiata nel 2014. Ma adesso oltre ai due figli ho pure un nipotino. Vivo e lavoro qui, dove vado?», si chiede il connazionale. E sottolinea che «tutti i politici europei compreso il ministro Di Maio, ma vuole venire anche Draghi, sono andati sia a Kiev, che a Mosca. Il risultato è che siamo tornati indietro» allo scoppio del conflitto che ha provocato 14mila morti. La battaglia di artiglieria ha registrato almeno 34 cannonate o colpi di mortaio da 80 e 120 millimetri. I separatisti hanno annunciato di avere abbattuto un drone ucraino che indirizzava il tiro. Da parte ucraina non ci sono vittime, ma quattro feriti. Il premier britannico Boris Johnson ha parlato di «un'operazione sotto falsa bandiera messa a punto per screditare gli ucraini e creare il pretesto per un'azione russa. Nei prossimi giorni ne vedremo molte». L'italiano di Dontesk racconta che «dopo le cannonate sono andato a lavorare lo stesso, ma per tutto il giorno si susseguivano messaggi di sparatorie vere o presunte. Era il primo giorno di scuola dopo un periodo di festa. Da queste parti rischi di morire per una granata camminando per strada».

A Kiev, 500 chilometri più ad ovest, i civili continuano ad arruolarsi per affrontare i russi. Un portoncino in legno, vicino a piazza Indipendenza, è l'ingresso di uno dei centri di reclutamento della difesa territoriale. Una volta dentro i muri scrostati di un vecchio ufficio sono tappezzati da foto drammatiche del fronte nel Donbass e dai poster per attirare i volontari con un militare ben armato di spalle e un numero verde dove chiamare h 24. Pavlo Shchybria, responsabile del centro, spiega che «solo da noi arrivano una decina di civili al giorno e riceviamo una sessantina di telefonata per informazioni su come e dove partecipare all'addestramento». Il muro al suo fianco è tappezzato dalla bandiera della difesa territoriale, bianca con al centro il tridente simbolo dell'Ucraina e due sciabole da cosacchi che si incrociano dietro uno scudo. «Se i russi ci invadessero attaccando Kiev abbiamo unità speciali pronte ad operare dietro le linee come forze partigiane», spiega Shchybria. E ammette che si tratta di una replica di Stay behind, la rete della guerra fredda che si sarebbe attivata in caso di invasione sovietica. «Solo che oltre a queste unità la mobilitazione è più ampia, a livello popolare, con addestramenti basici per tutti dai 18 ai 57 anni sull'uso di armi da fuoco e primo soccorso», sottolinea il responsabile del centro. Il generale Valery Zaluzhnyi, comandate delle forze armate ucraine, ha garantito che a marzo il 70-80% della popolazione sarà mobilitata nella difesa territoriale. «Come si infiamma il Donbass o in tv si vedono le truppe russe ai nostri confini aumentano i volontari per difendere la propria famiglia e la patria», spiega Shchybria.

Walter Rossit, nato in provincia di Portogruaro, è da 28 anni a Kiev dove ha sposato Gisella, di origine tatara. «Non ho mai pensato che ci sarebbe stata un'invasione, che sarebbero piovute bombe e arrivati missili. E tantomeno di lasciare il paese come altri, pochi, italiani», spiega uno dei veterani della comunità di 750 connazionali nella capitale. «Per me l'Ucraina è una seconda patria e forse la prima - osserva - ma non si vede la luce in fondo al tunnel». Stefano, da due anni a Kiev, racconta del taxista che l'ha lasciato q piedi «perché avevo un indirizzo scritto in russo».

Altri italiani ammettono che «il sentimento anti russo è aumentato e dei connazionali sono stati messi in guardia dall'Sbu, i servizi ucraini, per avere espresso opinioni pro Mosca in rete». Per Walter e Gisella «la guerra continuerà, ma limitata al Donbass. Laggiù non finirà mai».

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