L'ambasciatore russo ci sfida: mordete la mano che vi aiutò

Razov in tribunale per denunciare "La Stampa": "Volete uccidere Putin, ascoltate soltanto gli ucraini"

L'ambasciatore russo ci sfida: mordete la mano che vi aiutò

Balzano concetto della libertà quello del signor Sergey Razov, che di mestiere è ambasciatore della Federazione Russa in Italia. Convoca una conferenza stampa in piazzale Clodio, a Roma, dove si è recato per presentare al Tribunale una denuncia contro il quotidiano La Stampa per il reato di istigazione per delinquere a causa di un articolo in cui qualche giorno fa Domenico Quirico si chiedeva se il tirannicidio, ovvero l'assassino di Vladimir Putin, non fosse l'unico modo per arrivare alla fine della guerra. Approfitta, Razov, del fatto che in Italia esiste la libertà di stampa, di pensiero ed entro certi limiti anche di parola per attaccarci perché abbocchiamo alla propaganda (a suo dire) di Kiev. Domanda: l'ambasciatore italiano a Mosca avrebbe potuto fare lo stesso, caro signor Razov?

L'appuntamento è per il venerdì mattina. Razov ha annunciato la sua sortita nel palazzo di giustizia brutalista e c'è aria di show. Del resto il comunicato-invito giunto nelle redazioni parlava chiaro: cari giornalisti, venite pure, ma non pretenderete certo di farmi qualche domanda? L'appuntamento si trasforma quindi in un veloce comizio a senso unico, come piace agli autocrati e ai loro delfinetti, il contraddittorio è sopravvalutato. Pezzo forte sempre il rinfacciare all'Italia la missione con cui nel marzo del 2020 la Russia soccorse un'Italia prostrata dal Covid: «Al popolo italiano - attacca Razov - è stata tesa una mano di aiuto, ma se qualcuno morde quella mano non è onorevole. La missione è andata solo nei posti indicati dall'Italia, precisamente a Nembro, centro della pandemia in quel momento. Facevano solo quello che veniva detto dai colleghi italiani e la missione russa è terminata quando l'Italia ha proposto di concluderla. Le autorità italiane hanno espresso gratitudine per quanto fatto».

Razov sembra condividere l'idea strampalata che aiutare un Paese in difficoltà equivalga a comprarlo. E per questo si dice deluso dal fatto che il nostro Paese si sia schierato senza esitazioni dalla parte dell'Ucraina: «Lavoro in Italia da otto anni - tiene a precisare - e ho lavorato con Renzi, Conte, Letta e adesso Draghi. Abbiamo fatto di tutto per costruire ponti, rafforzare i rapporti in economica, cultura e altri campi. Con rammarico adesso tutto è stato rivoltato». Però nulla di irrimediabile: «Le crisi vanno e vengono, gli interessi nazionali restano. L'interesse è mantenere rapporti normali e lavoriamo per questo obiettivo».

Quanto ai giornali, perché poi alla fine di questo stiamo parlando, Razov vorrebbe che si limitassero a «seguire entrambi i messaggi e non solo quelli della parte ucraina. Ogni giorno leggo la stampa italiana e vedo alcune foto la provenienza della quale è molto dubbia». Quanto all'articolo della Stampa «nel titolo si considera la possibile uccisione di Putin. Questo è fuori etica, morale e regole del giornalismo. Chiedo alla magistratura italiana di esaminare questo caso, confido nella giustizia di questo Paese».

Razov si dice anche offeso per l'invio delle armi italiane in Ucraina «per uccidere cittadini russi. E voglio ricordare che la decisione è stata presa quando è iniziata la prima tappa delle trattative: i fucili vengono distribuiti non solo tra i militari, ma anche tra i cittadini e non si capisce come e quando saranno usati».

La guerra vista da Razov è una cosa tutt'affatto diversa da quella che vediamo noi. Certo, «prima finisce e meglio è». E «non c'è nessuna minaccia nucleare da parte di Mosca ma riflessioni in caso di minacce per la sicurezza della Federazione Russa».

E certo, anche su Mariupol, la città martire, noi italiani e tutti gli occidentali subiamo la propaganda ucraina perché «la Russia non sta attaccando i civili nella città ucraina di Mariupol o in altre località ma segue le indicazioni del presidente Vladimir Putin di colpire solo siti militari». Però non illudiamoci, «l'operazione finirà quando saranno raggiunti gli obiettivi definiti dal presidente Putin prima dell'avvio». Viva il tiranno, preferibilmente non morto.

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