Quante verità diverse. Opposte. Dove sta quella vera? Colpevoli non più così colpevoli; imputati assolti ma poi di nuovo sul filo dell'ergastolo; «prove» che per un'accusa sentenziano la condanna e invece appaiono semplici indizi. Il giallo di Brembate, quello di Garlasco, la tragica fine del prigioniero (nelle patrie galere) Stefano Cucchi. Andando a ritroso nel tempo, quante altre storie identiche, nella loro sommaria approssimazione. Un florilegio della nostra Giustizia. Delle (in)capacità investigative, delle sentenze scritte prima in tv che in Tribunale. Il coup de théâtre non più eccezione, ma ormai ordinaria normalità. La confusione.
In 48 ore cambia tutto. Eccoci così assistere a un pg, nella fattispecie Mario Remus, che chiede nel processo d'appello che la sentenza di primo grado sulla fine di Stefano Cucchi - geometra romano arrestato per droga e deceduto una settimana dopo in ospedale - venga ribaltata. Sono trascorsi cinque anni dalla sua morte. Poco di più da quando il reato di abbandono di incapace venne derubricato in omicidio colposo. Quattro medici dell'ospedale «Sandro Pertini» si videro infliggere un anno e quattro mesi di reclusione, il primario due anni. Assolti invece gli agenti penitenziari, grazie alla vecchia, abolita ma in qualche modo ancora vigente «insufficienza di prove». La famiglia di Stefano, forse non uno stinco di santo, ma oggi quasi martire, non si arrese. Sarebbe stato un pestaggio in cella a ucciderlo.
«Finalmente non ci sentiamo soli in un'aula di tribunale, per la prima volta non ho sentito insultare mio fratello. Ho ascoltato e apprezzato quanto detto dal procuratore che ha esordito descrivendo un vero e proprio pestaggio di Stato e una negazione dei diritti umani ai danni di Stefano», commenta ora, tra la gioia bagnata dalla disperazione, Ilaria, la sorella. Ma siamo solo all'inizio di un nuovo capitolo. Da riscrivere. Si aprono le porte alla tesi dell'omicidio preterintenzionale, il caso resta aperto. Fino a quando?
Albero Stasi, ormai da sette anni siede sul banco degli imputati a prescindere dalle assoluzioni. Delitto di Garlasco. Lui era il fidanzato della vittima, ed era il 13 agosto 2007, quando entrò nella villetta di via Pascoli scoprendo il cadavere della fidanzata Chiara Poggi. Per due volte la magistratura l'ha dichiarato innocente. Adesso, tutto cambia. Eppure la nuova prova regina sarebbe la stessa di prima. Dimenticata durante i giudizi precedenti. Statisticamente parlando sarebbe impossibile che il ragazzo, entrando nella villetta di via Pascoli, non abbia calpestato il sangue sparso ovunque. Questo per dire che avrebbe mentito il giorno in cui chiamò il 112 sostenendo di aver trovato il corpo della ragazza sulla scalinata dello scantinato. I periti nominati dalla Corte d'Assise d'Appello di Milano finalmente avrebbero stabilito come sia quasi impossibile che Stasi non avesse calpestato nemmeno una macchia: una su un milione. Cinque anni fa il professor Nello Balossino, esperto di elaborazione delle immagini dell'Università di Torino, pur senza prendere in considerazione i due gradini imbrattati di sangue, aveva stabilito che su 78mila simulazioni effettuate al computer risultava che Alberto avesse solo una possibilità di non passare sul sangue della vittima entrando in casa. Dunque? Si riparte dall'inizio.
Massimo Bossetti, mostro presunto di Brembate, langue invece in carcere. In televisione il superesperto Luciano Garofano ex dei Ris - col grado di Generale in pensione - assicura che il Dna non mente. Il colpevole è lui, Bossetti.
Peccato che i suoi colleghi del reparto investigazioni scientifiche dell'Arma dicano il contrario: «Pare quantomeno discutibile come ad una eventuale degradazione proteica della traccia non sia corrisposta una analoga degradazione del Dna», hanno scritto nero su bianco.Quale verità piace ai giudici?
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