«La Cgil non dà indicazioni di voto, ognuno voti con la propria testa». Il messaggio lanciato da Maurizio Landini all'assemblea nazionale di Bologna, mercoledì, è a suo modo chiaro: per lui, Giorgia Meloni o Enrico Letta fanno lo stesso. Altro che «voto utile»: la Cgil è pronta ad adeguarsi al nuovo vento, perché i suoi iscritti votano come la maggioranza degli italiani, e perché in fondo le politiche assistenzialiste, corporative e stataliste della destra sociale (come quelle del populismo grillino) sono assai più vicine alle sue istanze di quelle del riformismo draghiano.
A farne le spese è il Pd, dove infatti si respira una forte irritazione contro il caudillo del sindacato (un tempo) di sinistra, che rifiuta sdegnosamente di dare una mano all'ex partito di riferimento, e innanzitutto una sua candidata-simbolo come Susanna Camusso, colei da cui Landini ha ereditato il soglio di Corso Italia. La Cgil prima ha fatto pressioni sul Pd per spedirla in Parlamento (e, dicono i maligni, metterla a carico della collettività anziché dei propri bilanci: è di pochi giorni fa la notizia che le è stata tolta dal sindacato anche l'auto di servizio che aveva a disposizione in quanto ex leader) e poi ha iniziato a boicottarla.
Basta rileggere cosa diceva pochi giorni fa a La Stampa il segretario regionale della Cgil emiliana Massimo Bussandri, sprizzando livore da tutti i pori, per capire che aria tira: «Non basta candidare la Camusso per invertire la tendenza del Pd. Al posto suo, avrei fatto scelte diverse. E se non dovesse venire eletta, dovrebbe restare lontana dalla Cgil almeno un anno». Per poi concludere che non si può dire «ai lavoratori di votare contro la destra», tanto il Pd è peggio perché «ha fatto il Jobs Act». Con amici così, i dem stanno allegri. E a poco sono servite le affannose prese di posizione contro la riforma del lavoro varata dal governo Renzi da parte di esponenti dem: «Il Jobs Act è stata l'ultima grande scommessa liberista sul mercato del lavoro», ha proclamato il ministro del Lavoro Andrea Orlando. «Così diventate solo una copia di M5s: un partito riformista dovrebbe rivendicare quella riforma», gli ha replicato Renzi.
Collocare la Camusso si è rivelato un problema per il Pd dall'inizio: in Lombardia non l'hanno voluta, in Puglia neppure, in Toscana idem.
Alla fine è stato il campano De Luca a trovarle una collocazione nella «sua» Salerno, facendo fuori il locale parlamentare uscente di Leu Federico Conte. Ma le rappresaglie sono continuate. Con la Cgil che ha addirittura deciso di spostare a Bari il suo Forum del Sud, già organizzato a Napoli per inizio settembre. Per far dispetto alla sua ex leader ora candidata.
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