Un cambio di marcia nella lotta ad Israele. È quanto promette Hezbollah a 24 ore dall'eliminazione del capo di Hamas, Yahya Sinwar, e a poche settimane dalla decimazione della propria classe dirigente. Ma bisogna capire se si tratti di verità o semplice propaganda. Anche perché nessuno sa se il Partito di Dio disponga di altre marce. O se il padrino iraniano sia disposto ad offrirgliele. Per ora le armi di Teheran stentano ad attraversare il confine siriano. E i pasdaran pronti, a parole, a dar manforte ai combattenti sciiti nel sud del Libano per ora non si vedono. In tutto ciò, quanto resta della dirigenza di Hezbollah incomincia a nutrire dubbi sulle reali intenzioni di Teheran. Dubbi non infondati, visto che in questo momento la Repubblica Islamica sembra più interessata a garantire la sopravvivenza del proprio regime che a correre in soccorso dei propri alleati.
A questi dubbi s'aggiungono le incognite sull'affidabilità del grande padrino. Il leader politico di Hamas, Ismail Hanyieh, è stato ucciso a Teheran grazie ai buchi di un'intelligence iraniana penetrata in profondità dal Mossad. E lo stesso sospetto vale per Hassan Nasrallah, colpito mentre si trovava in un bunker che doveva garantirne l'assoluta sicurezza. A questi elementi s'aggiunge la non sempre perfetta sintonia tra Teheran e l'emergente leadership del Partito di Dio. Nasrallah e la sua cerchia rappresentavano la cellula primigenia del movimento. Una cellula assolutamente devota, formata da elementi scelti e selezionati dai pasdaran nel lontano 1982, quando l'Iran khomeinista decise di dar vita a un movimento sciita sotto il suo totale controllo. Oggi la situazione è cambiata. La crescita politica del movimento trasformatosi in un autentico stato nello stato, la sua indiscussa forza militare e la profonda penetrazione della società libanese hanno spinto molti giovani leader a rivendicare una possibile autonomia dalla Repubblica islamica. A questo s'aggiungono i malumori nei confronti di una Suprema Guida Ali Khamenei più preoccupata di salvare il proprio regime che non i propri alleati. In queste ore, le stesse incertezze stanno dilaniando Hamas. A due giorni dalla morte di Sinwar, la dirigenza in esilio in Qatar è pronta a riunirsi per eleggerne il successore. Ma proprio le divisioni fra i dirigenti decisi a proseguire i legami con la Repubblica Islamica e quelli propensi a un ritorno alle origini fanno pensare alla possibile nomina di una dirigenza collettiva. In tutto questo alcuni dirigenti premono per avviare contatti con i paesi arabi, rilanciare la trattativa sugli ostaggi e arrivare a un cessate il fuoco. Insomma mentre l'Iran sembra pronto a tutto pur di evitare lo scontro con Israele, l'asse della resistenza si fa sempre meno granitico.
E le sorti della partita appaiono sempre più nelle mani di Bibi Netanyahu. Che deve scegliere tra il ruolo di grande vincitore - con il rischio di spingere il conflitto alle estreme conseguenze - e quello di statista e grande negoziatore.
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