A Treviso è esplosa una polemica per vari aspetti molto eloquente. Uno degli assessori dell'amministrazione cittadina, Silvia Nizzetto (del Partito dei Veneti), è sotto attacco perché in varie circostanze ha utilizzato la bandiera di San Marco invece del tricolore. L'opposizione di sinistra a Treviso il sindaco è leghista ha così presentato tre esposti in Prefettura, invitando a valutare se nel comportamento dell'amministratore locale non sia ravvisabile un illecito.
È chiaro che i simboli contano ed è del tutto evidente che in Veneto il legame con il gonfalone è fortissimo: per questo coloro che hanno a cuore l'unità nazionale temono l'esibizione di questa bandiera. La storia di Venezia e della sua repubblica è una storia millenaria: in Veneto essa è molto più radicata nella coscienze di quanto non lo sia l'Italia costruita da Casa Savoia. Ha quindi ragione a temere la bandiera veneta chi è schierato a difesa dell'unità nazionale a qualsiasi costo, ma certo è impossibile che si possa trovare una qualche norma che vieti a un assessore di mostrarsi in pubblico con il leone di San Marco.
Innanzi tutto, qui è in gioco la libertà di espressione. L'assessore Nizzetto, come chiunque, ha diritto a difendere i propri valori e manifestare le proprie aspirazioni. A quanti in Veneto sono impegnati in politica per affermare i loro ideali (indipendentisti e/o autonomisti) non si può negare la facoltà di esprimere le proprie idee e anche di utilizzare i vessilli che preferiscono. Chi vuole chiudere loro la bocca manifesta, in tal modo, soltanto uno spirito intollerante.
Oltre a ciò, bisogna prendere atto come in Veneto più che altrove vi sia una domanda di autogoverno che Roma ignora e la cui mancata soddisfazione produrrà tensioni sempre più forti. La recente decisione del governo di archiviare ancora una volta il regionalismo differenziato è stata subita dai veneti come un ulteriore smacco.
Nell'ottobre di due anni fa ben il 57% dei cittadini veneti si recò alle urne e il 98% si espresse a favore di un processo volto a restituire una qualche forma di autonomia alla regione. Oggi tutto è fermo per tante ragioni: perché a Roma i Cinquestelle l'avversano; perché la stessa Lega è ormai un partito nazionale e non può più che tanto scontentare i propri elettori del Centro e del Mezzogiorno; perché da tempo è partita una macchina del fango che associa ogni ipotesi di regionalismo a logiche intolleranti, egoiste, volte a danneggiare i cittadini del Sud.
In Veneto, a ogni modo, l'aspirazione a governarsi da sé non sarà spenta da qualche iniziativa volta a proibire una bandiera che a Venezia sventola da secoli.
Al contrario, chi oggi contesta l'aspirazione dei veneti a essere quello che sono (perché ogni bandiera, alla fine, incarna un'identità e una storia) aiuta a farci comprendere quanto sia illiberale quel mix tra statalismo e nazionalismo su cui una certa sinistra pretende di costruire la propria proposta politica.
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