L'autorità che cancella i cittadini

È stato evocato lo stato comunista, per dire che c'è un limite all'ingerenza dell'autorità nella sfera privata, ed ha suscitato pruriti a chi non ce la fa a veder caricare di significati negativi la fede degli anni belli

L'autorità che cancella i cittadini

È stato evocato lo stato comunista, per dire che c'è un limite all'ingerenza dell'autorità nella sfera privata, ed ha suscitato pruriti a chi non ce la fa a veder caricare di significati negativi la fede degli anni belli. No, questo non è uno stato di polizia né comunista, ma resta da vedere se lo sia la cultura che lo informa, se il pensiero che muove la politica veda al centro lo Stato o il cittadino. Sarà filosofia ma è la chiave per la gestione di questa fase della pandemia, dove il boccino non sta più nelle mani del governo ma nei comportamenti del singolo. Chiariamo che il lockdown è stato giusto e opportuno e anche la distribuzione di sussidi economici com'è andata è altra storia. Qui è in discussione la comunicazione; che è strano per una forza di governo che ha preso il fortino proprio dandola a bere a tanti. Dall'inizio il governo ha comunicato la centralità dello Stato. Le due misure, divieti e soldi, dicevano: caro italiano, c'è un padre che pensa a te, segui le sue indicazioni e sarai al sicuro. I fatti stanno dimostrando che non funziona così.

Durante la chiusura avevamo avvertito che quel tempo dovesse essere impiegato non a cantare dai balconi ma a far germogliare una coscienza sociale, la consapevolezza delle responsabilità individuali. Era chiaro che qualsiasi misura minore della chiusura totale avrebbe trasformato ogni ospite asintomatico in untore, dal quale poteva proteggerci solo la prudenza individuale.

Invece la scena era occupata dall'autorità che infondeva fiducia, in attesa del tana-liberi-tutti per scappare in cortile a giocare, col bullo del Paese in testa. L'oggetto della comunicazione è stato per mesi il divieto e la sua fine. Avrebbe dovuto essere la presenza del virus, che evitavi chiuso in casa e che avresti potuto incontrare una volta uscito. È come attraversare la strada. All'inizio porti il bambino per mano. Poi quando cresce gli spieghi di guardare a destra e a manca, perché un giorno dovrà farlo da solo. È il messaggio che è mancato e continua a mancare: un'autorità rammaricata di dover imporre per legge ciò che un cittadino dovrebbe fare da sé. Per ottenere comportamenti da parte della popolazione non bastano norme e divieti, specie quando li allenti. Serve l'auto-regolamentazione. Se l'idea è che ciò che non è vietato si può fare, è solo questione di tempo prima che il tampone sia positivo.

È questa l'essenza della cultura statalista, dove i cittadini si affidano e pensano che debba esserci un protettore di ultima istanza, per perdonare (termine non casuale) e dunque rendere meno cogenti le responsabilità. Nella cultura liberale, lo Stato informa su cosa è pericoloso e il cittadino responsabile si autolimita, essendo l'ultimo baluardo. Già da settimane tanti adulti per proteggersi hanno ridotto al minimo le attività pubbliche. Non le feste, ma pure le cene a quattro. Gli è bastata la notizia della risalita dei tamponi positivi. Molti altri invece hanno festeggiato a casa il compleanno del bambino. Eccome se gli serviva una comunicazione più esplicita e reiterata. Pure il confronto con gli altri Paesi è stato fuorviante: noi stiamo meglio, non abbiamo quei problemi e dunque possiamo stare tranquilli.

Invece di dire: hanno sottovalutato e se lo faremo anche noi finiremo allo stesso modo. Che senso ha infondere tranquillità quando ciò che serve è la concentrazione, la tensione costante a tenere alta la guardia, anzi la mascherina?

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